MILANO, mercoledì 16 ottobre ► (di Paolo A. Paganini) – Il più illuminante saggio sul “Maestro e Margherita” di Bulgakov (1891-1940) è forse, in assoluto, quello siglato C.G.D.M, sul prezioso “Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi”. La sigla si riferisce al nome prestigioso di un critico letterario, editore, accademico italiano, professore emerito di letteratura italiana, studioso di Goldoni e di Ippolito Nievo, di cui curò le edizioni nazionali, e poi direttore di “Studi novecenteschi” e, con Massimo Cacciari, di “Angelus novus”, Cavaliere del Lavoro, scopritore di talenti, presidente della Casa editrice Marsilio. E, soprattutto, un letterato con l’ossessione dei libri (più di centomila nella sua casa veneziana).
Stiamo alludendo a Cesare G. De Michelis, morto il 10 agosto dell’anno scorso, all’età di 76 anni.
Dicevamo del suo saggio sul Dizionario Bompiani. Molti, forse tutti, si sono un po’ rifatti a quello, per parlare di letteratura. Ma anche di teatro.
Ora, vedendo al Piccolo Teatro Strehler “Il Maestro e Margherita” di Michail Bulgakov, quasi tre ore con un intervallo, regia di Andrea Baracco, con Michele Riondino nel ruolo del Satana Woland, non potevamo ignorare l’acuto saggio di Cesare De Michelis.
Il romanzo di Bulgakov, uscito postumo nel 1966, è grosso modo ambientato nella corrotta Mosca degli anni Venti. Qui Satana, tra magie e fatti portentosi, aiuta il Maestro, vittima della censura per un audace romanzo su Pilato e su Gesù, e internato in un istituto psichiatrico. Da qui è liberato grazie all’intervento dell’amatissima Margherita, per l’occasione divenuta strega, dopo aver accettato di diventare regina di Satana per una notte di sabba infernale. La morte, infine, unirà per sempre il Maestro e Margherita nell’eternità del loro amore.
Il romanzo è realizzato in una esplosiva miscela di generi teatrali, evidenziati nel saggio di De Michelis, cioè dal varietà alla tragedia, dalla satira alla commedia, dal comico al grottesco. Ed anche lo spettacolo guarda intenzionalmente a questo piacevole pastiche, e, com’è giusto, non nascoste simpatiche tendenze all’espressionismo. Inoltre, fin dall’inizio, Baracco sembra quasi privilegiare un’impostazione drammaturgica di base filosofica. Ottima, ma così non sarà. Forse avrebbe voluto essere più rigoroso su quella specie di linea guida, pronunciata all’inizio: “Non voglio la realtà, voglio la vita e la verità”. Ma, avrà pensato, la filosofia rischia di compromettere la teatralità. E così viene privilegiato una specie di angoscioso vaudeville, tra porte aperte, chiuse e spalancate, socchiuse e sbattute, con frenetici dentro e fuori, tra indiavolati e assatanati personaggi.
Cesare De Michelis, sempre nel suo saggio, aveva indicato anche tre linee d’un ideale percorso, com’è nel romanzo. Non obbligatorie. Ma avrebbero aiutato.
“L’azione si svolge contemporaneamente su tre diversi piani (…) che riescono a coesistere in un saldo impianto unitario, grazie al forte taglio teatrale (…). Una prima linea: la vita sovietica negli anni Trenta, realistica e sarcastica. Nella seconda linea: l’apparizione a Mosca del Diavolo… scambiato ora per spia, ora per professore di magia nera, ora per guitto da varietà … compiendo ogni sorta di sortilegi… Infine, tra le due “linee” s’inserisce la drammatica ed emblematica vicenda di Gesù, Pilato, la morte sulla croce e l’uccisione di Giuda di Kiriat… in una dimensione non religiosa…”
E aggiunse: “Opera di ardita architettura, rutilante di invenzioni…”
Sembrano già note di regia.
La prospettiva caleidoscopica delle diverse tonalità di generi insiti nel romanzo (come chiarito da De Michelis), anche da un punto di vista scenico risultano dunque intenzionalmente privilegiate, ma qui si sfilacciano nella monotonia d’una scena, alla quale non bastano porte e pertugi, per contribuire a una costruzione scenica “ardita e rutilante di invenzioni”, del tutto assenti. Invece è presente, questo sì, quel senso gioioso di male angelicato, trasfigurato nell’amore dio/satana, inesorabile vincolo degli opposti. Come dire uno indispensabile all’altro, come l’ombra e la luce, il bene e il male.
Eppure, lo spettacolo ha una resa attoriale di notevole intensità, partecipazione e gioco di caratteri (bene il satanico seppur poco sulfureo Michele Riondino, generosamente coadiuvato da uno staff di altri dieci attori, anche in diversi ruoli), e interessante e stimolante il percorso drammaturgico (strepitosa la prima parte), che magari indurrà, chissà, i molti giovani in platea alla lettura del romanzo, che è imperdibile per una cultura del Novecento. Così come dovrebbero essere Majakovskij e Pasternak per la poesia, Mejerchold per il teatro, Ejzenstejn per il cinema, Shostakovic per la musica.
Poderosi applausi finali (ma nessuno a scena aperta).
“Il Maestro e Margherita” di Michail Bulgakov, riscrittura Letizia Russo, regia Andrea Baracco. Con Michele Riondino (Woland), Francesco Bonomo (il Maestro), Federica Rosellini (Margherita), e con (in ordine alfabetico): Giordano Agrusta, Carolina Balucani, Caterina Fiocchetti, Michele Nani, Alessandro Pezzali, Francesco Bolo Rossini, Diego Sepe, Oskar Winiarski. Scene e costumi Marta Crisolini Malatesta. Musiche originali Giacomo Vezzani. Al Piccolo Teatro Strehler (Largo Greppi, Milano). Repliche fino a domenica 27 ottobre.
Informazioni e prenotazioni 0242411889.