Il “Malato” della Shammah era più cupo e dolente 35 anni fa? Mah. Oggi è una felice e brillante operazione registica

COLLAGE MALATO IMMAGINARIOMILANO, venerdì 13 febbraio   
(di Paolo A. Paganini) È come tornare su un caro posto di tanti anni prima; o rileggere un libro che hai letto da ragazzo; o incontrare un vecchio amore. C’è sempre la delusione del cambiamento. Non ritrovi più i connotati di quel caro posto; il libro non ha più quell’antico fascino; il vecchio amore non ti dice più niente. La crudeltà del tempo che passa. Eppure, quei mitici reperti del passato non sono cambiati. Siamo noi, con le nostre rughe, con i nostri avvizziti ricordi, che siamo cambiati. Colpa nostra. Anzi, colpa mia, se adesso, dopo trentacinque anni, a riveder lo stelle, cioè “Il malato immaginario” di Molière al Teatro Franco Parenti, allora Teatro Pier Lombardo, scopro che il cielo non era più quello.
Allora, in scena, c’era Franco Parenti, con quella sua prodigiosa afonia, con quella sua comicità da sempre mitigata nell’ironia, fin dai tempi dell’Anacleto gasista, di “Sani da legare”, di “Il dito nell’occhio”. E quel suo molieriano “malato”, quell’Argan, così lucido nella sua fatale ipocondria, nevrotico adoratore della sua disperata follia, adoratore di purghe rinfrescanti, di clisteri risolutivi, di miracolose pozioni, di benefici gargarismi, quale quadro di prodigiose emozioni, così cupe, così umane, riusciva a insinuare nei nostri alambicchi mentali, sconquassando gaudiosamente le nostre anime di appassionati teatranti, a nostra volta ancorati alle salvifiche superstizioni di misterici riti, di corni e di amuleti, nella nostra fatica di vivere, così disperatamente credulona di farmaceutiche panacee in un effimero quotidiano senza certezze. Altro che uscire a riveder le stelle. È l’ultimo verso dell’Inferno dantesco. Ma il cielo rimane buio. E il bello era che ci si rideva sù. La lezione di Franco Parenti!
Questi ricordi ce li ha strappati dall’oblio Andrée Ruth Shammah, che ora, nel ricordo di Franco, e a venticinque anni dalla sua morte, ha messo ancora in scena lo storico “Malato” (due tempi, di un’ora e venti e di cinquanta minuti), di cui anche allora, giovanissima, era regista. È stato soprattutto un omaggio alla memoria dell’indimenticato Protagonista, conservando le scene e i costumi di Gian Murizio Fercioni, le musiche (parzialmente) di Paolo Ciarchi, la traduzione di Cesare Garboli. Anche i tempi, le pause, le ansiose sofferenze di Argan, i dispostismi della serva Tonina, la caratura delle maschere, gli stessi movimenti scenici son rimasti uguali. O quasi. Le personalità attoriali hanno oggi un altro peso. Come potrebbe non essere? E dunque sono gli umori sotterranei a scomparire nel carsico sottosuolo della memoria. Il corso cambia inesorabilmente.
Al posto dell’Argan di Franco Parenti, sofferente, dolente, mistico adoratore d’ogni certezza medica e farmaceutica, oggi c’è Gioele Dix, solista comico e attore brillante, che conferisce tutt’altra patina alla disperata misantropia di Argan. Franco inventava tante piccole controscene, oggi improponibili, come quando usciva dal “licet” e mostrava l’infinitesimale consistenza del nulla dei suoi sforzi fecali mostrandone l’esiguità, nel silenzio generale, con il gesto di pollice indice e medio… Un nulla che diventava, nel tempo, memoria incancellabile.
Basta, non facciamone una storia di “vite parallele”.
Oggi dunque, con Gioele Dix, c’è uno staff di prim’ordine, dalla Tonina di Anna Della Rosa (la più brava, in assoluto) al giovane Francesco Brandi, comicissimo e saputo idiota laureando (ovviamente in medicina) nel ruolo di Tommaso Purgon (trentacinque anni fa il personaggio aveva un altro nome: Tommaso Cagherai), qui figlio del Professor Purgon (l’eccellente Marco Balbi). E poi: Linda Gennari, Valentina Bartolo, Pietro Micci, Francesco Sferrazza Papa, Piero Domenicaccio (l’unico sopravvissuto allo staff di trentacinque anni fa), e Alessandro Quattro.
E tutto fila liscio e felice tra risate e applausi a scena aperta. Lo spettacolo lo merita. Soprattutto per quanto abbiamo detto sopra: è un’impostazione leggera, dialetticamente allegra e scarnificante (ah, la satira dei medici!). Le tetre e cupe disperazioni di allora sono adesso geniali fuochi d’artificio. E va bene così. È carnevale no?

“Il malato immaginario”, di Molière. Regia di Andrée Ruth Shammah, con Gioele Dix. Al Teatro Franco Parenti, Via Pier Lombardo 14, Milano. Repliche fino a domenica 1 marzo.