(di Andrea Bisicchia) Tadashi Suzuki, autore del libro “Il corpo è cultura”, Dino Audino Editore, è uno dei registi più originale del teatro giapponese, inventore di un metodo che porta il suo nome, che, a sua volta, si inserisce in una ricerca più ampia, che vede coinvolti altri registi del teatro contemporaneo, da Stanislavskij a Brecht, a Grotowski, a Brook, ovvero a coloro che hanno teorizzato un “metodo” di lavoro riguardante, soprattutto, lo spazio e l’attore.
In che cosa Suzuki se ne distacca? Nel saper comparare il teatro orientale con quello occidentale e nell’esposizione di una sua idea particolare di Realismo (Shingeki), che va inteso non come una riproduzione della realtà, bensì come un modo diverso di interrogarla e di far conoscere l’essere umano, non per ciò che dà a vedere, ma per ciò che si muove nel suo mondo interiore, come dire che la sua visione non è eguale a quella di Zola, bensì a quella di Ibsen e Cechov che, nel testo, cita più volte.
Il suo metodo, pertanto, non si limita alla ricostruzione del quotidiano, ma va alla ricerca dei fenomeni inconsci che si ramificano dentro di noi. A suo avviso, col Realismo, si fabbricano delle finzioni che permettono di incontrare delle realtà a volte improbabili persino da immaginare in una vita normale, anche perché, dentro la banalità della realtà quotidiana, spesso si nascondono i drammi più cruenti e violenti. Anzi, a proposito di violenza, Suzuki differenzia quella del Realismo da quella della tragedia greca, essendo la prima soggetta alle leggi dello Stato, la seconda a quelle dell’ordine sociale e politico che assume, però, una valenza alquanto simbolica.
Sempre a proposito di Realismo, Suzuki, in quanto regista moderno, sa ben distinguerlo dal Teatro Kabuki e dal Teatro Nō, i cui stili appartengono a modelli stilizzati, con delle grammatiche espressive costruite su forme preesistenti che rischiano di essere stereotipate e di perseguire, pertanto, un modello esteriore. Il metodo Suzuki è principalmente legato, come quello di Stanislavskij, all’attore, da cui però se ne distacca perché a lui interessa la “sensibilità del palcoscenico”, attraverso la quale, l’attore deve essere capace di trasmettere al pubblico un senso di “meraviglia spirituale e di valore umano”. Recuperare il passato, per meglio vivere la storia del personaggio, come fa Stanislavskij, non comporta, a suo avviso, una specifica creatività. I parametri fondamentali per l’attore, secondo il suo metodo, sono: energia, equilibrio, respiro, mentre il loro compito principale consiste nella specializzazione della voce che dovrà caratterizzarsi per flessibilità e sensibilità pari a quella del corpo inteso come cultura.
A proposito di cultura, Suzuki ritiene che essa sia formata da regole che si accumulano nel tempo e che servono a organizzare gli impulsi umani, il cui riconoscimento avviene attraverso l’uso di idee guida e quello sapiente del corpo. Suzuki è consapevole delle trasformazioni che il teatro ha subito con l’evolversi della tecnologia, tanto da distinguere l’energia animale (tipica dell’uomo) da quella non animale che appartiene ai ritrovati della scienza e della tecnica, come la digitalizzazione e la computerizzazione che, però, sono irrilevanti per il training dell’attore.
Mattia Sebastian Giorgetti è il curatore, oltre che il traduttore, avendo seguito sia il training che la filosofia del Maestro. Di Suzuki in Italia abbiamo visto, all’Olimpico di Vicenza, “ Dionysus ed Elettra.
Tadashi Suzuki: “Il corpo è cultura”. Dino Audino Editore 2017, pp 140, € 18.