(di Piero Lotito) Avanza come una talpa, se ricordiamo che per “talpa” s’intende anche il macchinario che scava gallerie per le metropolitane, la poetica del Realismo Terminale di Guido Oldani. Si fa strada tra le coscienze più sotterranee, potremmo dire, l’attenzione del poeta per un fenomeno che prima o poi potrebbe tutti seppellirci: quello degli oggetti che stanno sovrastando l’uomo, al punto da modificarne atteggiamenti, stili di vita e perfino il linguaggio.
Oldani, poeta dall’ironia placida e smagliante («e l’anima è un bicchiere di buon vino / in bilico tra sete e ubriacatura, / è pura come i soldi di un bambino»), incontra un bel giorno un vecchio amico, Amedeo Anelli, ideatore e direttore della rivista di poesia Kamen, e intavola con lui una di quelle conversazioni che, pian piano e felicemente, gettano luce su un tema, una problematica o un dubbio atroce, meglio di un qualsiasi trattato enciclopedico. Nel nostro caso, dal loro incontro è nato Oltre il Novecento (Libreria Ticinum Editore), un volume orchestrato da Anelli con rara ariosità e sapienza.
Il libro, che apre con sei poesie inedite di Oldani (i versi già citati fanno parte della prima – L’anima –, che così conclude: «pare sia dentro al soffio di un respiro / come un chiodo in una fornitura / od un chicco di sale in mezzo al mare / ma è grazie a lei se riesco a canticchiare»), sfocia in un breve saggio dello stesso Anelli, che appunto affronta la poetica del Realismo Terminale di Oldani e la certifica («È dunque, quella dell’Oldani, nella poesia italiana contemporana, una delle poche scritture poetiche architettoniche, memorabili e riconoscibili, in orizzonti di poesia epigonale e vetusta»), e chiude con l’intervista-conversazione che abbiamo detto.
Un solo esempio, qui, della godibilità di questa dotta “chiacchierata” tra amici. Quando Anelli domanda a Oldani perché mai si sia deciso a scrivere, con Il realismo terminale (Mursia 2010), un libro di poetica in un Paese, il nostro, «dove vige una attardata divisione fra teoresi e fare artistico», si sente rispondere con la più disarmante e disadorna franchezza: «Sono stato letteralmente travolto da quello che sta accadendo: è così totale e radicale che sarebbe stato come finire sotto un treno e far finta di nulla. Letteralmente l’uomo non può sfuggire ai prodotti ed attraversa mari e monti per raggiungerli. È come se tutti quanti volessimo abitare lo stesso punto della terra. Nasce una torre di Babele al contrario, la metropoli come recipiente mostruoso di gente accavallata sugli utensili presenti. In fondo l’umanità intera sta ai beni di consumo come le mosche stanno allo sterco».
Amedeo Anelli, “Oltre il Novecento – Guido Oldani e il realismo terminale”, Libreria Ticinum Editore, pp. 57, € 9.