(di Andrea Bisicchia) Il laboratorio fotografico di Tommaso Le Pera è diventato l’Olimpo, non degli dei, ma dei divi del teatro italiano, immortalati nelle loro pose, tanto che il materiale fotografico è sempre attento a evidenziare non soltanto le azioni delle messinscene, ma a giustificarle con una sorta di intervento critico, quello che, in verità, appartiene alla regia, ma che Tommaso fa suo quando lo riproduce con gli innumerevoli scatti.
Da una parte del materiale raccolto in questo laboratorio, sono nati una decina di volumi che riguardano sia autori che interpreti, che sono diventati testimonianza viva di spettacoli rimasti nella memoria del critico o dello spettatore professionista.
Il volume, dedicato a Geppy Gleijeses, si inserisce nella collana dei grandi interpreti che l’Editore Manfredi porta avanti con determinazione, grazie anche alla energia di Maria Paola Poponi, e con la consapevolezza di essere utile agli storici del teatro, oltre che ad essere un mezzo di trasmissione di memoria per chi non ha potuto vederli o ne ha visto solo in parte. Ciò è stato possibile grazie all’utilizzo di un montaggio narrativo, tipico del lavoro di Le Pera, che fa pensare a quello cinematografico.
La storia di Geppy, attraverso le foto di Tommaso, è diventata anche la storia di due ossessioni, l’ossessione per la riproduzione dal vivo degli spettacoli e l’ossessione di un attore–regista che pensa solo al teatro, a come sceglierlo, a come farlo e a come garantirlo, un’ossessione che lo aveva colpito fin dalla giovinezza, nel momento in cui decise di fare l’attore, provando tutte le forme di teatro prima di intraprendere quella di capocomico, inserendosi, in tal modo, nella tradizione del teatro napoletano che da Scarpetta arriva fino ai De Filippo.
A dire il vero, Geppy ha sempre creduto nel teatro di parola, non per nulla i suoi autori preferiti sono stati Pirandello ed Eduardo, oltre che Viviani, Ruccello e Moscato, per quanto riguarda gli italiani, Sartre, Camus, Wilde, Balzac, Gogol, per quanto riguarda gli stranieri, che egli ha saputo collocare in contesti storico-sociali ben precisi. Il suo è anche un teatro gestuale, soprattutto, quando utilizza il genere farsesco, ma non solo. Il gesto, per lui, equivale a un comportamento, spesso lo usa per tracciare un carattere, ma anche per segnare il passaggio dalla marionetta all’uomo che prende coscienza di sé. In lui, il gesto diventa linguaggio, anzi, in certi momenti dello spettacolo che sta recitando, ne sente la necessità, tanto che potrebbe sembrare un’aggiunta non prevista, se non arbitraria. Solo che non si tratta di un gesto qualsiasi, bensì di un calcolato gesto teatrale che ha una sua logica, un suo modo di comunicare, una sua particolare fisicità che rivela la natura e la cultura del personaggio che Geppy interpreta, se non la sua etnia. Basterebbe osservarlo bene per accorgersi che, mentre esplicita la naturalezza del personaggio, egli sente il bisogno di staccarsene, ricorrendo a una forma di epicità che è frutto di una gestualità quasi innata che coniuga istinto e libertà.
Tommaso, che ben lo conosce, coglie questi momenti, anzi li fissa in una immagine, direi in un campo visivo, che ne rivela l’interpretazione e che trasmette il significato di una azione. Una simile gestualità, Geppy l’ha ereditata dalla grande scuola del teatro napoletano, quello, in particolare, farsesco, o quello della sceneggiata. Direi che non c’è spettacolo in cui Geppy non vi faccia ricorso, poiché l’uso che ne fa, lo libera da ogni immedesimazione, creando una sua maniera “epica” di recitare. In tal modo, la sua naturalezza sconfigge il pericolo del naturalismo, a vantaggio di un immaginario che acquista una sua ritualità, oltre che una sua spettacolarità. Dagli anni Ottanta, sono molti gli spettacoli che lo hanno visto protagonista, alcuni, dal forte segno registico, si possono rivedere grazie alle foto di Tommaso Le Pera: “Liolà”, regia di Luigi Squarzina, “Il figlio di Pulcinella”, regia Roberto Guicciardini, “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, regia Mario Missiroli, “Io, l’erede”, regia Andrée Ruth Shammah, “Il giuoco delle parti”, regia di Marcucci, “Filumena Marturano” e “Il piacere dell’onestà”, regie di Liliana Cavani. Tra tutti i “Liolà” che ho visto, quello di Geppy-Squarzina mi è sembrato il più innovativo, rispetto alle interpretazioni precedenti che hanno prediletto il folklorismo o il bozzettismo o l’elemento canoro.
Le Pera lo ha immortalato col foulard attorno al collo, con la maglietta bianco-sporco e con un pantalone trattenuto da due grandi bretelle, mentre tiene la mano di Lorenzo, con coppola e dorso nudo. Si tratta di una immagine-icona che ben sintetizza l’attore e il personaggio. Non è, insomma, il contenuto estetico che interessa a Le Pera, quanto la sua potenza immaginativa, che gli permette di trasformare le foto in una parte integrante dello spettacolo e della sua storicità, proprio in opposizione a ogni forma di estetismo che tende a disconoscerla.
Nelle foto di Tommaso, il linguaggio e l’immagine sono solidali, egli ne trasmette la testimonianza, trasformandola in un atto di memoria permanente.
Il volume contiene interventi di Gleijeses, Maria Paola Poponi, Liliana Cavani, Emilia Costantini, Masolino D’Amico, oltre che una ricchissima iconografia e una completa teatrografia.
Il volume sarà presentato il 28 luglio a Milano, presso il Chiostro Nina Vinchi del Piccolo Teatro.
“Il Teatro di Geppy Gleijeses nelle fotografie di Tommaso Le Pera”, Manfredi Edizioni 2021, pp. 350, € 39.