MILANO, mercoledì 9 novembre ♦ (di Paolo A. Paganini) Dopo Matteo, Marco, Luca e Giovanni, quello di Pippo Delbono non è il quinto Vangelo. Il titolo dello spettacolo, in scena al Piccolo Teatro Strehler, è questo, sì, “Vangelo”, ma diciamo che è una rilettura – elementare e di immediato profilo letterario – intorno ai canoni cristiani della “buona novella” (etimologia di “vangelo”) e della redenzione.
Il percorso di Delbono (un’ora e 35 senza intervallo) è tortuoso, come, d’altra parte, le aspre tensioni spirituali dell’autore, il quale passa dall’invito della religiosissima mamma in punto di morte, che chiede al figlio di fare uno spettacolo sul Vangelo, alle sue perplessità di non credente, che ha preferito i più sereni approdi del buddismo anziché gli incubi cattolici di una religione senza gioia, che incute paura con la condanna del peccato, con la punizione, con il martirio, con la penitenza, con i costati sanguinanti dalla Croce…
Felicità e libertà, grida Pippo Delbono.
Parole che risuonano alte, solenni, formali e trascinanti. Ma poco convincenti, dette da un artista che guarda, da sempre, con pietas misericordiosa di cristiano controvoglia, alle umane miserie degli sbandati, dei perseguitati, degli infelici, dei diseredati, dei diversi.
Felicità e libertà, dunque, sì, ma con rabbia, perché in contraddizione con la realtà, con la pietra tombale dell’ingiustizia, dell’egoismo, della violenza, sotto la quale giacciono le umane sofferenze dei puri di cuore.
Il riscatto? L’amore.
Aggiungiamolo dunque alla nostra trimurti: felicità libertà e amore.
Salotti in festa, bella gente in giacca e cravatta, signore in lungo e paillettes, musiche sognanti, abbracci e stringimenti aprono lo spettacolo, condotto dai quindici interpreti della comunità teatrale di Delbono, con i suoi storici componenti, a cominciare dal sordomuto Bobò, pescato tanti anni fa dal manicomio di Aversa, fino al clochard Nelson, fino al down Gianluca, fino ai suoi nuovi acquisti, argentini, croati, afgani, fuggiti da miserie, ingiustizie, dittature.
È un inizio di spettacolo sull’amore fasullo – così l’abbiamo inteso – di una borghesia conformista e ipocrita. Di lì a poco, passando da una geometrica coreografia di un Bob Wilson dei poveri e con richiami a un fantasmico teatro d’ombre sullo sfondo di un muro-prigione, lo scenario si squarcia sui corpi piagati dei profughi, sugli occhi smarriti dei sopravvissuti, dei povericristi, degli orfani, delle donne violentate. Altro che amore fasullo in salotti in festa. E intanto risuonano frasi eterne di una vita cristiana, elementare e necessaria. E struggente. “Eravamo esiliati e ci avete accolto…”, “Avevamo fame e ci avete dato da mangiare…”.
E Jesus Christ Superstar chiude gloriosamente uno spettacolo, che, tutto sommato, nel bene e nel male, rimane un commovente messaggio d’amore cristiano da parte di Pippo Delbono. Volente o nolente.
Applausi osannanti per tutti alla fine, che accomunano idealmente anche Enzo Avitabile, autore delle trascinanti musiche originali per orchestra e coro polifonico.
Si replica solo fino a domenica 13
Il neocristianesimo di Pippo Delbono, che parla di amore e solidarietà per diseredati, profughi, sbandati, perseguitati
9 Novembre 2016 by