(di Patrizia Pedrazzini) – Agli inizi del secolo scorso si contavano, nel mondo, circa 100.000 tigri. Nel 2010 il loro numero era sceso a 3.200. Bracconaggio, distruzione del suo spazio geografico, commercio clandestino di specie selvatiche, turismo irresponsabile erano riusciti a far sì che il più grande felino vivente (300 chili, contro i 250 del leone) scivolasse tristemente nella classifica degli animali a rischio di estinzione.
Oggi, di questo superbo mammifero si contano in tutto quasi 4000 esemplari: merito di intelligenti politiche di salvaguardia attuate nei Paesi dell’Asia sub-orientale, primo fra tutti il Nepal. Ma la strada è dura, e in salita.
Per questo “Il ragazzo e la tigre” non è solo una bella favola per bambini intrisa di buoni sentimenti, altruismo e generosità (certo che ci sono i cattivi, ma fanno una brutta fine), è anche un film ideato e voluto per far pensare e riflettere – soprattutto le nuove generazioni – sulla bellezza e sul delicato equilibrio di questo nostro disastrato mondo.
La storia è di una semplicità disarmante, e racconta dell’amicizia fra due orfani: l’adolescente Balmani, che ha perso la mamma nel terremoto di Katmandu (del 2015) e una cucciola di tigre alla quale i bracconieri hanno appena ucciso la madre. Il ragazzo la salva, le dà il nome di Mukti, e insieme i due si incamminano, affrontando una lunga serie di fughe e di ostacoli, ma anche di incontri con persone tanto povere quanto buone (e il “dio denaro” è, nel film, fra i principali, se non il principale responsabile della malvagità umana nonché dei mali del mondo), verso un monastero arrampicato sulle montagne dell’Himalaya, il Tiger’s Nest, dove la leggenda popolare narra che le tigri, sacre ai monaci, trovino tutela e salvezza.
Diretto da Brando Quilici, figlio dell’indimenticato, grande documentarista Folco (scomparso nel 2018), che nel secolo scorso portò sul grande e sul piccolo schermo gli straordinari segreti della natura, dalle profondità degli oceani alle vette delle Ande, il film richiama “Il mio amico Nanuk” (2014), dello stesso Brando, storia dell’amicizia, nell’Artico Canadese, fra un ragazzo e un cucciolo di orso polare. Mentre entrambi non possono che riportare alla mente un terzo film, girato nei primi anni Sessanta da Folco Quilici nelle isole della Polinesia Francese: “Ti-Koyo e il suo pescecane”, sull’amicizia fra un bambino e un piccolo squalo, che il piccolo chiamerà Manidù.
Detto questo, quella di Balmani e Mukti non è niente più che una storia semplice e ingenua (non di rado fino all’inverosimile), che cavalca l’intramontabile dualismo ragazzo-animale, formula da sempre vincente sul grande schermo, soprattutto in vista del Natale. Con però almeno due elementi di grande impatto, visivo ed emotivo: la bellezza del cucciolo di tigre protagonista (almeno finché resta cucciolo) e gli straordinari paesaggi delle montagne e delle valli himalayane, inaccessibili e incontaminate, vero appagamento per gli occhi, dove il regista “tradisce” la medesima vocazione da documentarista del padre.
Piccola nota: il film esce nel 2022, per il calendario cinese l’anno della Tigre.
Il ragazzo e la piccola tigre. La storia semplice e bella di due orfani. Verso la salvezza, fra le nevi e i silenzi dell’Himalaya
14 Ottobre 2022 by