Il razzismo raffinato d’un horror politico: intervenire sulla psiche dei neri per far loro assumere la mentalità dei bianchi

(di Marisa Marzelli) Successo, a sorpresa, di pubblico e critica per un film che sembrerebbe di nicchia: un horror, genere di solito liquidato come ricettacolo di B-movie. Invece Scappa-Get Out rischia di diventare la rivelazione dell’anno. Quest’opera prima, scritta e diretta dal 38enne Jordan Peele, sinora conosciuto solo come attore comico, tratta la mai risolta questione razziale negli States. Pur affrontando l’argomento di petto, il film non risparmia sarcastici sorrisi per alleggerire la materia. Innegabile l’abilità del regista nel creare e far crescere la tensione, in un’atmosfera di inquietudine all’inizio non ben comprensibile, ma da subito palpabile.
Tra il fotografo di colore Chris (l’attore inglese Daniel Kaluuya) e la fidanzata bianca Rose (Allison Williams) le cose sembrano andare benissimo e lei nel weekend lo porterà a conoscere i propri genitori. Chris è un po’ nervoso perché i futuri suoceri non sanno che lui è nero. Ma la ragazza lo convince che la mamma psicoterapeuta (Catherine Keener) e il padre neurochirurgo (Bradley Whitford) non ci faranno nemmeno caso. Invano un amico di Chris, impiegato nella sicurezza, cerca di metterlo in guardia. Giunti alla villa isolata, il protagonista è accolto con grande disponibilità. Ma qualcosa non quadra, ad esempio la domestica e il giardiniere di colore hanno strani comportamenti. Ancora più strani gli amici invitati per una festa. E quando la mamma di Rose ipnotizza Chris per farlo smettere di fumare, al giovane sembra di sprofondare in un incubo.
Persino nei film comici alla Ti presento i miei l’incontro con i futuri suoceri è sempre imbarazzante, figuriamoci qui, dove l’atmosfera si fa dapprima paranoica e poi nerissima, con spargimento di sangue e cadaveri. Ma questo è il limite del genere horror, obbligato a rispettare un crescendo di truculenza.
Più interessante del rispetto delle regole del genere orrorifico è l’approccio all’argomento di fondo. Non si tratta del vecchio razzismo dei tempi da Capanna dello zio Tom o di delinquenza e scontri con la polizia.È un razzismo raffinato, da parte di un establishment bianco tanto politicamente corretto e convinto di avere sempre ragione quanto bramoso di azzerare la differente cultura dei neri, rendendoli culturalmente simili a sé e anche sfruttandone (questo è l’aspetto psicologicamente horror) certi stereotipi di superiorità, come la forza e resistenza fisica.
In termini metaforici, asservirli dando loro l’illusione di essere accettati e assimilati. E per i neri può esserci la tentazione di adeguarsi ad un’avvenuta integrazione, di cui non sospettano il prezzo, rinunciando alla propria identità. Il regista Jordan Peele (nero) costruisce quindi un film politico, se non addirittura militante. Aggiungiamo che la polizia (bianca o nera), nella sua superficialità, nemmeno sospetta che i neri rischino di essere depredati e lobotomizzati. Nel confronto tra la bianchità e la negritudine (come qualcuno ha definito la contrapposizione tra due mentalità e modi di essere), l’egemonia bianca s’impone con nuovi mezzi. Non resta ai neri che scappare dalle pericolose lusinghe di persone che si professano liberal e che “Avrebbero votato Obama per la terza volta, se fosse stato possibile” (la frase è ripetuta ben due volte) il prima possibile. Questa, almeno, la tesi del film. Un atto d’accusa che non risparmia la stessa presidenza di Obama (salutata all’elezione come un traguardo conquistato dagli afro-americani).
Ma questo, come detto, è il sottotesto, che il cinema horror può permettersi con più impatto di altri generi. Storicamente, da L’invasione degli ultracorpi a La notte dei morti viventi, tanto per fare due esempi cult, le paranoie della società in un preciso momento storico sono state perfettamente interpretate seppur in chiave splatter.
Il film ha debuttato quest’anno al Sundance Festival e, pur presentando qualche pecca (non ha il coraggio di un finale totalmente pessimistico e in alcuni snodi è difficile riuscire a rendere plausibile e far coincidere il plot col suo significato metaforico), mantiene sempre alta l’attenzione ansiosa degli spettatori e vanta un cast di nomi poco noti ma tutti bravi.
Sul piano produttivosi è rivelato un enorme affare. Abituati come siamo a blockbuster dalle cifre e dai rischi stratosferici, il trionfo diScappa- Get Out, parte da un costo di poco meno di 5 milioni di dollari e ha fruttato oltre 200 milioni. Il più alto incasso di sempre per un regista alla sua opera prima, battendo al botteghino il record di The Blair Witch Project (1999).