Il Rof recupera il rossiniano “Aureliano”. Sublime. Una stupefacente edizione critica e voci d’esaltante virtuosismo

aureliano, collagePESARO, mercoledì 13 agosto
(di Carla Maria Casanova) Correva voce che “Aureliano in Palmira” (terza opera del cartellone del Rof (Rossini Opera Festival) sarebbe stata molto provante. “Quattro ore! Una pizza!” Mai fidarsi delle voci. Le tre ore e quaranta sono passate come un soffio e la scoperta di Aureliano è stata esaltante.
1813: Rossini ha 21 anni. Ha iniziato l’anno con il fiasco del “Signor Bruschino”, si è riscattato alla grande con “Tancredi” e “L’italiana in Algeri”, è ricaduto (a metà) alla Scala, con “Aureliano in Palmira”. Però la musica dell’Aureliano piace così tanto allo stesso compositore che la ricicla , come farà spesso, subito in altre opere (questa volta, ne “Il Barbiere”!). Ma così, smembrandola, se consacra certe pagine all’imperituro successo (la sinfonia, un’ aria del tenore e una del soprano), decreta anche la inesorabile fine dell’Aureliano.
Il Rof ha recuperato questo titolo misconosciuto facendone la edizione critica, con tutti i tagli aperti e quindi l’offerta di molta musica mai sentita. La parte vocale è sublime. Tre i grandi ruoli, di cui quello di Arsace composto per il celebre castrato Velluti, qui sostenuto da contralto, mentre soprano e tenore hanno parti di “agilità di forza” vale e a dire che la loro voce deve “salire e scendere come un ascensore” come diceva la Callas. E loro, gli interpreti, lo fanno. Accidenti se lo fanno.
Aureliano, l’americano Michael Spyres, belcantista di fama, esibisce uno stile strepitoso, apparentemente privo di sforzo. Il personaggio del duce romano tutto patria e onore, per il quale la pax romana prevale, è magari un po’ melenso, ma il suo canto strabilia.
Zenobia, la fiera regina di Palmira, è l’australiana Jessica Pratt, di imponente regale aspetto, bellissima in scena, con acuti e sopracuti vertiginosi e anche ripensamenti lirici di grande pathos.
Arsace, la uzbeka Lena Belkina, debuttante al Rof, ha un ruolo difficilissimo, combattuto tra la matrice guerriera del principe di Persia alleato di Zenobia e il perdutamente innamorato di lei. Sarà anzi questa indole a prevalere anche nella storia, che a tutto antepone l’amore. Al punto che persino il dux Aureliano ne rimane convinto perdonando a tutti, nemici e vinti, e offrendo loro la libertà. Insomma, vogliamoci bene. (Senza contare anche l’estremo sacrificio di Publia –Raffaella Lupinacci- che rinuncia al suo amore per Arsace cedendolo a Zenobia).
Per oltre tre ore (un solo intervallo) “Aureliano in Palmira” ci sommerge di musica rossiniana autentica e commovente, dove anche il coro ha una scrittura ricca e diversificata come mai prima d’ora. L’americano Will Crutchfield, curatore dell’edizione critica, è stato anche lo splendido direttore.
Lo spettacolo scenico (regìa di Mario Martone, scene di Sergio Tramonti, costumi di Ursula Patzak), crea un ambiente godibilissimo, con la spartizione della scena in siparietti di veli trasparenti mentre i personaggi vestono costumi storici. Straordinario l’impatto visivo della sfarzosa corte di Zenobia. Successo delirante.
Insomma, mai credere alle “voci”. Andare, vedere, sentire di persona. Poi giudicare.
“Aureliano in Palmira”, di Rossini. Teatro Rossini, Pesaro. Ore 20. Repliche venerdì 15, lunedì 18, venerdì 22 agosto.
www.rossinioperafestival.it