Il sacrificio? Macché sacro. È una strategia nevrotica, che può diventare sovversione, passione, godimento compulsivo

(di Andrea Bisicchia) Quando ha origine l’ordine mondiale? Forse quando l’uomo scoprì l’essenza del sacrificio, grazie alla quale vennero attenuate le rivalità e le differenze che avevano favorito l’insorgere della violenza, tanto che il sistema della differenze fu creato da chi deteneva il potere e agiva in nome di una  Legge, che il potere stesso aveva creato per evitare di essere accusato di possibili nefandezze.
L’uomo primitivo legò l’essenza del sacrificio a forme di religioni politeiste e il loro sviluppo risultò necessario alla permanenza del sacro. I sacrifici, come si ricava dal prefisso, avevano sempre a che fare col sacro, nel senso che si sacrificava al dio per evitare situazioni di pericolo, generatrici di minacce, paure, ansie, transfert. Al tema del sacrificio si sono accostati storici delle religioni, antichisti, antropologi, sociologi, psicoanalisti, tutti lo hanno studiato in rapporto col sacro, cercandone, come ha fatto Walter Burkert, persino le orme biologiche, o quelle violente, come ha fatto Girard, per il quale il processo sacrificale è legato alla dinamica della violenza e a quella del desiderio, cause sempre presenti nei rituali e nei sacrifici.
Il desiderio di cui parla Girard è quello mimetico, grazie al quale tutti desideriamo ciò che appartiene a un altro.
Se dall’approccio antropologico passiamo a quello psicoanalitico, ovvero alla linea che da Freud porta a Lacan, a Hillman a Recalcati, le cose cambiano, perché gli archetipi appartenenti al sacrificio vengono analizzati alla luce del comportamento, dentro il quale si annidano i nostri sogni, i nostri bisogni, le nostre sofferenze, le nostre scissioni, i nostri desideri, oltre che i disturbi della psiche. Cambiano, pertanto, i codici di lettura e, con essi, il rapporto con la Legge.
Massimo Recalcati nel volume: “Contro il sacrificio. Al di la del fantasma sacrificale”, Cortina, in tre intensi capitoli analizza il sacrificio simbolico, lo spirito del sacrificio e la sovversione del sacrificio. Per Recalcati, il sacrificio può essere letto come una strategia nevrotica, tanto che la clinica psicoanalitica incontra spesso il fantasma sacrificale che va oltre il religioso, con la consapevolezza che la vita del nevrotico sia consacrata alla passione del sacrificio, secondo la quale, non rimane altro che” obbedire alla Legge”, fino a sacrificare la propria vita per ricavarne un “ godimento compulsivo”.
L’atteggiamento di Recalcati non è molto dissimile da quello di Jean Luc Nancy, per il quale, era necessario “ sacrificare il sacrificio”, così da permettere  di andare” contro il sacrificio”, oltrepassando il suo peso che incombe come una colpa. Partendo dallo statuto simbolico del sacrificio, la psicoanalisi si affanna a liberare l’uomo dalla colpa, dovuta alle pulsioni sacrificali e lo mette nelle condizioni di sacrificare persino il desiderio e la sua stessa fascinazione. Nella vita nevrotica, osserva Recalcati, “ rifiutare la perdita o perdere tutto, sono la stessa cosa”. Il superamento del fantasma sacrificale è confermato dalla passione di Cristo, essendo, la sua, una offerta assoluta, conforme alla Legge dell’amore che corrisponde alla Legge del desiderio di salvare gli altri. La croce, pertanto, non è più concepita come simbolo del sacrificio, ma come la morte del sacrificio. Cristo decide di morire sulla croce per rimanere fedele al suo sacrificio.

Massimo Recalcati, “Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrificale”. Cortina Editore 2017, pagg 144, € 13.