Il sigillo con la fascetta di Stato a tutto il Valpolicella: quando un vino fa cultura

Scan_20140214_164930Il sigillo con la fascetta di Stato nel 2008 è già stato apposto all’Amarone e al Recioto, nel 2011 al Ripasso. Ed ora anche al Valpolicella è stato apposto il prestigioso sigillo di Stato.
Ed eccoli qua i confratelli di tutta la variegata tipologia della nobile famiglia Valpolicella: Amarone, Recioto, Ripasso ed ora l’ultimo per antomasia: Valpolicella.
L’origine del generico Valpolicella è indissolubilmente intrecciata alla storia di questa parte del territorio veronese. Qui la presenza della vite è testimoniata in epoca preistorica dal ritrovamento di piante fossilizzate del genere
Ampelophyllum, le lontane antenate della Vitis silvestris e della Vitis sativa. I primi segni di coltivazione di Vitis vinifera sativa – idonea alla produzione del vino – sono stati rinvenuti nel cuore della Valpolicella classica e si riferiscono alla civiltà paleoveneta, che fiorì tra il VII ed il V secolo a.C. Le basi storiche della coltura della vite sul territorio della Valpolicella risalgono invece all’epoca romana quando il vino della Valpolicella, chiamato Retico, arrivò sulle mense imperiali.
Dobbiamo a Celso Aulio Cornelio e Columella (II sec. a. C) la descrizione del «portentoso vino» che anche Augusto apprezzò particolarmente e il poeta Virgilio ne decantò la bontà. Nei secoli successivi, Cassiodoro, ministro del re Teodorico, definisce il vino della Valpolicella «regio per colore […] denso e carnoso […] porpora bevibile di soavità incredibile».
È però nel Novecento che la Valpolicella si trasforma radicalmente ed acquisisce sempre più importanza a livello internazionale grazie al suo vino, che diventa celebre in molti Paesi, soprattutto in Nord Europa e Usa. Non dimentichiamo che un grande estimatore del Valpolicella, grazie al quale il nome di questo vino ha fatto il giro del mondo, era il premio Nobel per la letteratura Ernest Hemingway, il quale secondo la leggenda ne consumava diversi litri al giorno quando si trovava in quel di Venezia. Una predilezione che vale anche una citazione letteraria, quando nel romanzo “Di là dal fiume e tra gli alberi” del 1950, lo definisce: “Secco, rosso e cordiale, come la casa di un fratello con cui si va d’accordo”.