(di Andrea Bisicchia) Il teatro ha sempre vissuto una strana meteorologia, nel senso che la sua è una storia di continue stagioni, alcune irripetibili, che hanno contribuito a renderlo il mezzo più diretto per intervenire su ciò che è accaduto durante le molteplici trasformazioni della storia sociale, delle quali è sempre stato il riflesso, oltre che l’immagine storica. Per non dilungarmi sul passato e per evidenziare la sua capacità di ribaltare formule, correnti, generi, vorrei ricordare le grandi stagioni degli Stabili, delle Cooperative, delle Avanguardie ma, soprattutto, per entrare in argomento, quelle del Teatro Documento, del Teatro dell’Oralità e del Teatro Sociale, sul quale si sono intrattenuti studiosi di antropologia come Meldolesi, Tessari, Bernardi, o studiosi di storiografia come Annamaria Cascetta e Valentina Garavaglia che al teatro post-drammatico ha dedicato un dotto volume, ricco di rimandi bibliografici: “Teatri di confine”, Mimesis editore, uno studio che introduce il lettore nel mondo complesso delle carceri e, in particolare, del carcere di Bollate.
Il confine a cui fa riferimento l’autrice, va inteso come spazio del margine, il cui valore dialettico consiste nella trasformazione, nella crescita, nell’integrazione di chi ha perso la libertà. Si tratta dell’ultima stagione di ricerca, quella che impone il teatro, ancora di più, come servizio pubblico, non concepito, evidentemente, come lo intendeva Paolo Grassi, ma come mezzo per restituire a tutti coloro che vivono l’esperienza della diversità, un margine per l’autocoscienza e per la preparazione alla libertà. Valentina Garavaglia si è avvalsa di contributi di illustri studiosi, delle loro teorizzazioni, quelle che riguardano, in particolare, l’area della Performance e della Comunicazione fisica, per applicarle alla condizione del recluso e di chi opera nella post-drammaturgia, nella linea del riscatto sociale, proprio nel momento in cui la società vede il tracollo della persona (Paul Ricoeur) , travolta dalla indifferenza di massa, teorizzata da Gilles Lipovetsky.
Il teatro rivolgendosi ai luoghi del disagio: carceri, ospedali psichiatrici, periferie urbane, immigrati, diviene spazio di accoglienza, di comunità, luogo per lenire le sofferenze. Come uscirne? Attivandolo sempre più nell’ambito del disagio, non solo con finalità terapeutiche, ma anche professionali. È noto come, all’interno delle carceri, si preparino occasioni professionali di tutti i tipi, il teatro è una di queste, come è accaduto all’ergastolano Aniello Arena, del carcere di Volterra, per il quale Armando Punzo chiede la nomina di Teatro Stabile, rivendicando i successi ottenuti e i progetti futuri. Ipotesi, questa, che aprirebbe un’ulteriore stagione e che metterebbe all’erta altre esperienze professionali , come quella del carcere di Bollate, dentro il quale, il teatro ha scelto di confrontarsi con altre discipline che riguardano le scienze cognitive, neurologiche, sociali che hanno contribuito al tracollo di gran parte dei conflitti socio-relazionali, soprattutto, per i detenuti che hanno fatto del teatro una scelta di vita.
“Teatri di confine. Il postdrammatico al carcere di Bollate”, di Valentina Garavaglia – Edizioni Mimesis – 2014 – pp 266 – Euro 20