Il Teatro delle Albe: non solo riscritture classiche. Arricchì, per esempio, la cultura romagnola con il “griot” senegalese

(di Andrea Bisicchia) In teatro, l’identità non la si costruisce, ma la si conquista, la costruzione sa di artificiale, la conquista è il risultato di un lungo lavoro sul campo. L’identità del Teatro delle Albe è il risultato di una attività che dura da trentacinque anni, quando Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonni fondarono la Compagnia del Teatro delle Albe che dal Teatro Goldoni di Bagnacavallo si trasferì al Teatro Rasi di Ravenna, il cui spazio, all’interno di una chiesa sconsacrata, sembra indicare la sua vocazione laico-religiosa, da intendere “religiosa” come il legame che il Gruppo ha inteso intrecciare con la città, tanto che il pubblico di Ravenna, pur essendo la città sede dell’Alighieri, si riconosce nell’attività teatrale e laboratoriale del Rasi.
Maria Dolores Pesce ha dedicato a Marco Martinelli un volume dove analizza il suo lavoro di Drammaturgia, oltre che di Drammaturg e, nello stesso tempo, indaga il lavoro del Gruppo. Ad indicare un antecedente, si potrebbe ricordare il Gruppo della Rocca, che, negli anni Settanta, divenne un punto di riferimento della nuova drammaturgia, quando, dopo la crisi degli Stabili, favorì la nascita di Comunità teatrali che scelsero di lavorare in gruppo o in Cooperativa, come quella di Franco Parenti.
Il teatro degli anni Novanta, che nel 1997 ebbe visibilità al Pier Lombardo, su una idea di Antonio Calbi, condivisa da Andrée Ruth Shammah e Franco Quadri, si affermò per una nuova maniera di concepire la scrittura teatrale e quella scenica. Maria Dolores Pesce ha scelto di indagare l’una e l’altra e di tracciare l’evoluzione che è avvenuta all’interno delle Albe, dove convivevano le modalità di messinscena con quelle pedagogiche, individuando le caratteristiche specifiche della drammaturgia di Martinelli, del suo modo di scrivere, della sua idea di regia, non di quella “critica”, che da tempo aveva perso la sua centralità, bensì della regia che tiene conto del collettivo, il cui atto creativo è da addebitare al nucleo col quale si lavora, che fa ricordare Brecht quando, negli “Scritti teatrali”, facendo riferimento alla specializzazione del lavoro registico, teorizzava il “ continuum dialettico”, da intendere come “creazione collettiva”.
L’autrice conduce il lettore lungo un percorso mai identico, ma sempre referente, un percorso che, attraverso la numerosa teatrografia, ci permette di percepire le diverse modalità esplorative di Martinelli e del Gruppo, che vanno dal teatro di ricerca a quello interetnico (vedi il ciclo africano), dal mistilinguismo che alterna lingua e dialetto romagnolo, i cui maestri, per Martinelli, sono stati Tonino Guerra, Lello Baldini e Nevio Spadoni, alla promiscuità della scena, e alla “non scuola”, segno distintivo di un personale aspetto pedagogico che, negli ultimi anni, ha caratterizzato la vocazione didattica di Martinelli, di cui Dolores Pesce indica tre componenti della ricerca teatrale: quella di uno spazio-tempo, quella delle contaminazioni estetiche e quella della “non scuola”, intesa come provocazione.
Certamente alcune messinscene fanno ormai parte della storia del teatro contemporaneo, da “Salmagundi” a “L’isola di Alcina”, con una eccelente Montanari, da “I Polacchi”, con quattro spettacoli distinti, ma accomunati dalla stessa materia, quella di Ubu re, che hanno coinvolto adolescenti di quattro periferie, da Ravenna a Chicago, da Dakar a Napoli, a “Fedeli d’amore”, polittico per Dante morente, una specie di Stationen Drama, e ancora a “Va pensiero”, che porta in scena un argomento a me caro, quello di Teatro e Mafia, per il suo intreccio di mafia, politica e imprenditoria che ha avvelenato il tessuto integro dell’Emilia Romagna, il cui testo è stato appena pubblicato da Cue Press.
Il volume della Pesce contiene una postfazione di Ermanna Montanari, una completa teatrografia e una corposa bibliografia.

Maria Dolores Pesce, “Marco Martinelli. Un drammaturgo corsaro”, Editoria & Spettacolo 2018, pp 190, euro 17.