Il teatro? Non esiste senza la critica. Purché esercitata da seri professionisti. E senza preconcetti. Parola di Apollonio

30.8.16 collage apollonio(di Andrea Bisicchia) Un volume di Atti può essere recensito in due modi o sintetizzandone gli interventi o scegliendone uno, facendo ruotare attorno a esso gli altri. Degli atti sul “Convegno nazionale del teatro”, organizzato da Paolo Grassi a Milano nel 1948, Passigli Editore, abbiamo scelto quello di Mario Apollonio (1901-1971), forse perché il più profetico, sia riguardo la storia del teatro intesa come disciplina e, quindi, soggetta alla dottrina, sia riguardo la funzione della critica ai fini della storicizzazione del teatro stesso dopo l’avvento della regia, alla quale si deve la nascita di un linguaggio autonomo rispetto a quello del testo, sul quale si era appoggiata la vecchia storiografia tanto da far considerare la storia del teatro un’appendice della letteratura drammatica.
Apollonio riteneva già, in quegli anni pionieristici, che: “senza la critica il teatro non esiste”, pertanto richiedeva al critico la maggiore professionalità possibile che considerava non molto diversa dalla professione dello storico, il quale, avendo a disposizione più tempo per assemblare e riflettere, si assume il compito di utilizzare i giudizi critici in bibliografia, ovvero in una parte della ricerca indispensabile per l’attività dello storico.
Il critico a cui allude Apollonio non è certo né il cronista mondano né il “narratore di novelle” né il resocontista di una serata, né ancora il recensore. Deve essere  semplicemente un professionista addottrinato, il cui compito non è quello di fotografare lo spettacolo, bensì di analizzarne il sottotesto, quello che diventa la materia prima di un regista.
Per Apollonio, l’evento teatrale va interpretato con gli attestati critici attinenti alla messinscena, oltre che con informazioni storiche che, a loro volta, vanno confrontate con altre discipline come la sociologia, la psicologia, l’antropologia. Lo storico non può non tenerne conto, ma queste ricerche risulterebbero incomplete se non fossero sostenute dall’analisi della lingua scenica.
Apollonio è stato un antesignano del DAMS, ovvero di un polo universitario dove si insegnano tutte quelle discipline a chi desidera diventare un professionista dello spettacolo, sostenendo, nel frattempo, il primato della “clinica scenica” da paragonare al primato della “clinica chirurgica”. Ad ascoltare la relazione di Apollonio c’erano i critici più autorevoli dell’epoca tra i quali: D’Amico. Simoni, Palmieri, il quale intese subito sottolineare il fatto che ciascun critico è figlio della propria epoca, ma c’erano anche registi come Strehler e Costa che, benché con visioni e metodologie diverse, peroravano la nuova figura del critico. Il Piccolo era stato fondato da un anno, quello di Roma, diretto da Costa, ebbe vita breve. Se Costa mirava a un teatro mimico gestuale, Strehler entrava dentro il testo, rispettandone l’autore, ma inserendovi un proprio linguaggio e una propria estetica, quelli che il critico doveva individuare ed esaminare, approfondendo le nuove competenze, magari seguendo le prove e partecipando al lavoro della messinscena, senza, per questo, sentirsi debitore, ma anche senza quei preconcetti che, spesso, ne infettano il giudizio.

Mario Apollonio: “Teatro e cultura” in “La nascita del teatro contemporaneo in Italia”, Passigli Editore 2013, p. 306 € 12.