Il teatro? Un servizio pubblico rivolto anche a chi non ha mai messo piede in un teatro. L’assillo di Paolo Grassi 70 anni fa

(di Andrea Bisicchia) La Fondazione Paolo Grassi, nel suo Statuto, ha messo come obiettivo, non solo quello di trasmettere il materiale epistolare, ma anche la concezione, diciamo filosofica, che ha ispirato il lungo lavoro di colui che, insieme a Strehler, ha dato una svolta decisiva alla storia del teatro italiano.
Uno degli assilli che contraddistinse le origini di questo mandato fu come comunicare il teatro a un pubblico che non era più quello borghese del primo cinquantennio del Novecento, bensì quello che, dopo la Resistenza, aveva acquisito diritti morali e culturali che gli permettessero di essere protagonista anche in occasione di eventi culturali.
Paolo Grassi era consapevole del difficile rapporto tra il formare e l’ informare, nel primo caso lo faceva di persona, proponendosi tutte le sere, come interlocutore di possibili spettatori, da cercare nelle case della cultura, nelle biblioteche e nei circoli, non solo di Milano, ma anche dell’hinterland; nel secondo caso lo faceva con carta e penna, chiamando a raccolta direttori di giornali e critici del tempo, il cui contributo fu determinante nell’assemblare un pubblico di spettatori che, magari, non aveva mai messo piede in un teatro.
I famosi pullman, organizzati da Grassi, provenienti dalla provincia milanese, continuano ad arrivare ancora oggi, nelle varie sedi del Piccolo Teatro. Ebbene, la Fondazione si è chiesta fino a che punto il lascito di Grassi possa ancora contribuire a chiarire quale debba essere il rapporto tra formazione e informazione, essendo mutata, non solo la domanda, ma anche il prodotto, visto che la città di Milano vanta più di 50 luoghi di spettacolo, mentre è vistosamente cambiato il metodo informativo, dovuto, non solo alla crisi delle riviste specializzate, praticamente scomparse, ma anche alla imperitura credenza da parte dei Direttori e dei Capi redattori della marginalità del teatro rispetto ad altri problemi che attraversano la società, tradendo l’idea di Grassi, secondo la quale, il teatro ha la stessa potenzialità e la stessa efficienza di chi utilizza il gas o la luce elettrica, come dire che il teatro è un servizio pubblico al pari di molti altri.
Negli atti del convegno, tenuto nella sala del Grechetto di Milano (20 novembre 2015), si trovano interventi di critici teatrali, cinematografici, musicali che, pur consapevoli del “metodo” Grassi, oggi sono costretti a inseguire le novità, pur essendo poco ascoltati dai loro direttori che subiscono passivamente la rivoluzione digitale che, come nella politica, ha dato ampio spazio a una molteplicità di incompetenti che, improvvisamente, sono diventati critici, senza chiedersi quanta fatica, quanta conoscenza, quanta dedizione, quanto studio stiano dietro questa figura.
È possibile aumentare le competenze e il sapere di chi si accredita come critico senza una vera competenza? Come dare le basi a una generazione che, navigando in rete, non legge, non approfondisce, ma si lascia trasportare dalla propria opinione che non ha nulla a che fare con la critica? Insomma, come riconoscere il nuovo Statuto del critico? Come dare credibilità alla sua militanza? Tutto ebbe inizio con una frase infelice di Paolo Mieli: “La recensione non è una notizia”, senza accorgersi che un grande quotidiano al servizio della sola notizia è un giornale fallimentare.
Gli fa eco, in un breve intervento pubblicato negli atti, Ferruccio De Bortoli che riconosce la natura “scomoda” della critica, consapevole del fatto che il critico di qualità riesce a dare una specifica identità alla testata per cui scrive e che la grandezza di una città la si crea con la cultura, la sola che riesce a fare da collant con tutte le altre eccellenze.
Numerosi sono gli interventi raccolti, non solo di critici, ma anche di operatori che, alla fine, hanno redatto un ordine del giorno in cui si conviene sulla necessità di essere attenti, non soltanto ai cambiamenti dei linguaggi, ma anche alla formazione dello “spettatore responsabile”, che può essere realizzata dal critico competente, perché solo una coscienza critica riesce ad essere trainante e a scontrarsi con l’abdicazione dei quotidiani nei confronti di un mondo sempre più appiattito, schiacciato da un “indistinto informe”.

“Media e spettacolo. Uno spazio ormai virtuale?” – A cura della Fondazione Paolo Grassi, SEFER edizioni, 2015.
Il libro non è in commercio, chi fosse interessato può inviare una mail a: info@sefergroup.eu
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