Il titolo d’una vecchia gloriosa rubrica: Fuori la lingua, su errori e questioni grammaticali

(di Paolo A. Paganini) Negli anni Settanta, il linguista milanese e critico cinematografico del giornale del pomeriggio “La Notte”, Camillo Brambilla, teneva una rubrica di successo, intitolata “Fuori la lingua”. Problemi linguistici, questioni grammaticali, curiosità gergali e amenità dialettali erano esaminate e spiegate con acume e ironia. Noi – dopo la chiusura dell’indimenticato giornale milanese – riprendemmo lo spirito e il titolo della rubrica sul periodico fiorentino “Civiltà della scrittura”. Ora, dopo altre dolorose vicende legate al mondo dell’editoria, riprendiamo la gloriosa rubrica su “loSpettacoliere”, nella sezione dedicata alla Lingua, sperando di rinnovarne i consensi.
L’amico e collega Gian Paolo Trivulzio, dunque, ci segnala, nell’articolo a piè di pagina 25 del “Corriere della Sera”, di sabato 1 febbraio, a firma Antonella Baccaro, un curioso e divertente refuso. A metà articolo, dedicato alla perdita della stima di sé stessi, l’autrice spiega che, per porre rimedio, non si ha “che da rimboccarsi le macchine e ricostruire la propria autostima”. È evidente che l’autrice intendeva scrivere maniche e non macchine.
La segnalazione del singolare errore ci consente di fare qualche considerazione d’ordine generale, dando altresì una spiegazione di più specifica pertinenza. L’amico Trivulzio si è chiesto: “Nessuno rilegge gli articoli, prima della loro pubblicazione?” La risposta è no. Oggi, in linea di massima, un giornalista fa tutto da sé. Si scrive il pezzo e, sulla base delle indicazioni grafiche, lo mette in pagina. Una volta esisteva un reparto revisori, o correttori di bozze, come preferite chiamarli, che provvedevano a ripulire i pezzi da errori, imprecisioni e refusi. I correttori erano quasi sempre fior di intellettuali, dei quali conservo personalmente il ricordo d’una stima altissima. Ma siccome erano utili sono stati soppressi. Normale no?
Da aggiungere, per un maggior controllo, che, oltre ai correttori di bozze, c’era sempre l’occhio vigile di capiservizio e capiredattori, se non del direttore, che un’ultima occhiata al “giro” dei testi e alle titolazioni lo davano sempre, in extremis, con scrupolosa attenzione. Ma anche questo rientra nel “c’era una volta”.
image002Un analogo discorso vale per il servizio d’apertura online di “La Stampa”, sempre in data sabato 1 febbraio. È evidente, anche in questo caso, che si tratta d’un errore malandrino, in questo caso più imbarazzante del precedente, perché ben più visibile e quindi più clamoroso (vedasi riproduzione). Ma è evidente, anche in questo caso, che si tratta d’un fastidioso refuso, d’uno svarione spiacevole e involontario…
Il redattore che ha scritto “nubigrafi”, ingenerando il sospetto di una grave dislessia, dunque, non intendeva certo dire “scrittori di nuvole”, ma semplicemente “nubifragi”. E purtroppo, in un giornale in linea, il riscontro delle bozze e il controllo delle titolazioni non è proprio possibile. Il “fai da te” coinvolge qui il lavoro dei redattori, più che in altri settori della comunicazione. E si vede.
Come ultima chiosa, aggiungeremo che molti si avvalgono di quel criminale strumento che è il correttore automatico, artefice di clamorosi misfatti. Si tratta di una pericolosa canaglia da mettere al bando. Qualche tempo fa, in una mia corrispondenza da Venezia, appoggiandomi a un ufficio stampa per scrivere un articolo da mandare al giornale per il quale lavoravo, scrissi il nome “Pasolini”. Sbalordito, ritrovai poi sul giornale ormai stampato… “Pistolini”. Il correttore automatico, becero e ignorante, si era rifiutato di accettare il nome del conosciutissimo scrittore e, ritenendo che fosse sbagliato, decise di correggerlo.
Chissà cosa passa per la mente d’un cervello elettronico!