Immagini e immaginazione disvelano la nostra psiche, diventando oggetto di cura nei conflitti tra conscio e inconscio

28-11-16-cop-immagini-che-curano(di Andrea Bisicchia) Alla Società dello Spettacolo, teorizzata da Guy Debord (1967), è subentrata la società dell’immagine, che ha scelto, come protagonisti, non solo la carta stampata, ma anche l’universo della comunicazione via Internet, col suo linguaggio specialistico, la cui velocità sembra essere in competizione con quella dell’ultrasuoni. L’immagine, però, può essere utilizzata in un contesto più circoscritto, come dire che, con essa, non si percepisce soltanto il mondo, ma anche la dimensione interiore del nostro pensiero, a cui essa è quasi sempre correlata, tanto da generare un linguaggio immaginale, i cui contenuti, presenti nella coscienza, si trasformano in concetti e idee e costituiscono il risultato delle nostre pulsioni, tanto da essere percepite dalla scienza psicoanalitica.
Marco Del Ry, noto psicoterapeuta, ha pubblicato un volume dal titolo “Le immagini che curano. Immaginazione e clinica”, Moretti & Vitali, individuando un settore dell’immagine che coincide con quello della nostra immaginazione, se non addirittura del sogno, alternando le ricerche teoriche con la prassi clinica, per individuare strumenti di cura ricorrendo proprio all’analisi delle immagini.
Nella parte teorica, Marco Del Ry si è soffermato sulla storia dell’immagine partendo da una condizione “pleromatica” (quando le immagini non esistevano ancora) a una condizione originaria, la cui origine coincide con quella della nascita dei miti, per giungere ai giorni nostri. Il modello originario a cui attinge è quello di Jung, ma non disdegna l’apporto di antropologi, come Lévy-Bruhl o Lévy-Strauss, per poter mettere a fuoco il rapporto che esiste tra immagine interna ed immagine esterna, tra inconscio e coscienza. Per Jung, l’immagine è espressione, tanto della situazione inconscia, quanto di quella cosciente, ma, per interpretarne il significato, è necessario tener presente il loro mutuo rapporto, dato che l’immagine ha la capacità di mediare tra realtà e fantasia, tra mondo interiore e mondo esteriore.
Non bisogna dimenticare che le immagini sono elaborazioni della nostra cultura, della nostra percezione intellettiva e sono anche fonte di disvelamento della nostra psiche che è abitata da forze antagoniste, tanto che, spesso, immagini interne ed esterne, attive e passive, consce e inconsce entrano in competizione. L’antagonismo legittima la contraddizione, mettendo in crisi il principio aristotelico di non contraddizione.
L’uomo vive quotidianamente la sua doppiezza, essendo abitato dagli opposti; la contraddizione, pertanto, ha una funzione propulsiva e trasformatrice. Per un analista, il potenziale trasformativo racchiuso nelle immagini, permette la conoscenza dei conflitti e dei complessi che sono conseguenza delle crisi psichiche, crisi che possono essere risolte nel momento in cui questi due mondi riescono a incontrarsi, trasferendo le immaginazioni passive in immaginazioni attive.
L’autore passa in rassegna alcuni modelli terapeutici facendo ricorso sempre all’immagine, attraverso la quale cerca di svelare quello che si nasconde nell’inconscio che, spesso, si manifesta con dei sintomi che diventano oggetto di cura. L’uso clinico dell’immagine viene esteso a quello dell’immaginazione, che è sempre alla ricerca di desideri inconsci, e che, non trovando la via della realizzazione, producono dei disturbi alla nostra psiche, che può essere curata facendo ricorso alla prassi clinica, dato che le immagini non hanno a che fare solo col pensiero, ma anche con le emozioni e gli affetti.

Marco Del Ry, “Le immagini che curano. Immaginazione e clinica” – Moretti & Vitali 2016 – pp 208 – € 17.