(di Marisa Marzelli) Sebbene le premesse non siano affatto originali, partendo da una serie tv degli anni ’60 (Operazione U.N.C.L.E., un centinaio di episodi tra il 1964 e il ’68) e proponendo la collaudata miscela di azione e ironia, il regista britannico Guy Ritchie, famoso per due ottimi Sherlock Holmes e già marito di Madonna, confeziona un film gradevolmente vintage, impeccabilmente girato. Le premesse sono oggi storicamente fuori tempo massimo in quanto si ipotizza che due agenti della CIA (Henry Cavill, il volto del più recente Superman) e del KGB (Armie Hammer, la cui carriera ha subito una battuta d’arresto dopo l’insuccesso di The Lone Ranger) siano controvoglia indotti dai rispettivi governi a fare squadra per risolvere l’intricato caso di uno scienziato scomparso e di una minaccia atomica planetaria che prende le mosse – ça va sans dire – dalla Berlino divisa e ricettacolo di spie.
Per fortuna il regista Ritchie, anche co-sceneggiatore, non punta tanto sull’adrenalinica trama (prevedibile) quanto su una serie di ottimi dettagli che restituiscono le atmosfere dei film dell’epoca e ci riportano agli anni in cui l’eleganza dell’ambientazione doveva avere il tempo di essere goduta dagli spettatori (per cui il ritmo non era forsennato come nell’action di oggi). I caratteri dei personaggi sono rifiniti in chiave di commedia, le belle di turno sfoggiano abiti d’alta sartoria e accessori all’altezza, valorizzati ampiamente dalla macchina da presa. Addirittura, la trama action di inseguimenti e sparatorie si concede varie ellissi (tradotto: inutile spiegare come i nostri eroi sfuggono a situazioni senza vie d’uscita, tanto se la cavano sempre), lo schermo si divide in più scene contemporaneamente con lo split screen e, siccome parte del film si svolge a Roma, si nota il quasi sempre riuscito tentativo di farsi beffe dell’Italia da cartolina che tanto piaceva e ancora oggi piace alle produzioni d’oltreoceano. La storia sconfina invece nel buddy movie, quel racconto di competizione e amicizia maschile molto più comedy che drammatico.
Se puro intrattenimento deve essere, Guy Ritchie ne è uno dei confezionatori più attenti, filologici e divertiti. Forse per questo, all’uscita americana il film non ha ottenuto il successo sperato, un po’ troppo sofisticato per le platee del sabato sera e dei ragazzini. Cosa che, probabilmente, tarperà le ali al progetto, evidente dallo sviluppo narrativo, di avviare un nuovo franchise (infatti il film racconta come si è formata la squadra dell’U.N.C.L.E. pronto a lanciare nuovi episodi).
In un lavoro impostato così, la scelta giusta degli interpreti è fondamentale. Qui la coppia maschile funziona, anche se – per essere un attore inglese – Cavill è più legnoso e si prende più sul serio dell’americano Hammer. Sul versante femminile, ci sono i volti ancora poco visti della svedese Alicia Vikander (da tenere d’occhio perché ha in uscita vari titoli di rilievo, a partire da The Danish Girl in concorso a Venezia) e dell’australiana Elizabeth Debicki nei panni (molto eleganti, a partire da abiti Courrèges strepitosi) della cattiva. Un breve ruolo, very british, anche per Hugh Grant, perché non c’è classica storia di spie senza lo zampino dell’MI6, l’agenzia di Ian Fleming e James Bond.
Impeccabile cocktail di azione e ironia. Con atmosfere da film d’epoca. Un sofisticato divertimento per gusti raffinati
2 Settembre 2015 by