
Il Maestro Riccardo Muti, la giornalista Carla Maria Casanova e il Sovrintendente della Scala, Alexander Pereira
MILANO – E’ il mitico “frac di gala” di Arturo Toscanini. Realizzato da Domenico Caraceni nel 1933, pezzo unico di inestimabile valore, è composto da pantaloni e giacca, disegnato e tagliato su misura con tasselli di stoffa all’interno recanti il nome del proprietario scritto a penna. Insieme, due cravattini bianchi e un paio di bretelle di seta. Il tutto oggetto di un accurato restauro da parte dello stilista marchigiano Vittorio Camaiani.
Il celeberrimo indumento è ora esposto in una superprotetta vetrina nella Sala delle Colonne del Conservatorio G. Verdi di Milano, diventata museo permanente per illuminata volontà della presidente Maria Grazia Mazzocchi.
E’ una storia lunga e travagliata.
Il frac faceva parte dell’asta dei beni personali di Toscanini battuta da Bolaffi nel dicembre 2012 e sulla quale era intervenuto il MiBact con il diritto di prelazione, per circa l’80 % dei lotti dichiarati di “interesse artistico e storico eccezionale”. Una ulteriore notifica di vincolo era intervenuta poi su ulteriori 265 pezzi. Tra questi gli occhialini di Toscanini, i piatti d’argento offerti dall’orchestra di Israele da lui fondata, importanti coppe, un bellissimo ritratto a olio, documenti, libri, fotografie, calepini di annotazioni, locandine.
E il celebre frac.
Scopo del vincolo era preservare il bene dalla dispersione, accorpandolo in un lotto unico, indivisibile e praticamente invendibile. Rimasto infatti senza compratori, il bene rischiava di tornare alla Proprietà e lì di finire i suoi giorni. Fu allora escogitato, su progetto di Carla Maria Casanova, di creare un Comitato, legalmente costituito, che si accollasse, con quote singole, l’intero costo del lotto per poterlo assegnare a una unica destinazione, in osservanza delle rigide condizioni del MiBact.
Trainante allora fu il frac. A nessuno dell’ambiente musicale poteva associarsi meglio che a Riccardo Muti, il direttore dal frac proverbiale (i suoi sono confezionati dal bolognese Guido Bosi, il “sarto degli artisti” per antonomasia). Disse Muti: “Il frac di Toscanini lo regalo io” e si mise alla testa della cordata. Altri meravigliosi donatori si aggiunsero, addebitandosi una o più quote per raggiungere l’importo dell’intero lotto. Da lì alla collocazione definitiva al Conservatorio occorsero ancora due anni di pratiche, contrattazioni, appuntamenti, ricerche, tentativi, permessi, rifiuti, cambi, attese, lettere, mail (824), carte bollate, timbri, banche.
Ma finalmente ci siamo.
Giovedì 5 novembre, è avvenuta l’ufficiale consegna del lotto (frac e gli altri 264 oggetti) al Conservatorio, con l’avvallo del MiBact nella persona di Beatrice Bentivoglio Ravasio, Segretario regionale del Ministero dei Beni Culturali. Giornata storica: Riccardo Muti era presente con la moglie Cristina (in Conservatorio si sono conosciuti, entrambi allievi, nel 1966) e anche Alexander Pereira, Sovrintendente della Scala, ha risposto all’invito. L’ abbraccio tra i due ha forse suggellato un nuovo patto di alleanza Muti-Scala?
Già nell’agosto di quest’anno Pereira aveva auspicato un ritorno del Maestro, che se n’era andato in modo burrascoso nel 2005, dopo diciannove anni di permanenza nel teatro scaligero.
“Penso che Muti dovrebbe tornare a dirigere alla Scala”, disse in agosto Pereira, “spero proprio che questo possa accadere”.
Muti, intanto, di fronte all’auspicio rinnovato giovedì 5, all’inaugurazione della mostra dei ricordi di Toscanini al Conservatorio, s’è schernito intonando la vecchia, italianissima canzone “Tornerò” (il testo dice tra l’altro: … e tu / che asciughi quella lacrima – tornerò… /… com’è difficile restare senza te…”).
Ma non crediamo che sia il caso di Muti. Intanto ha un contratto che lo lega alla Symphony Orchestra di Chicago fino al 2020, e, anche ciò prescindendo, non è parso particolarmente smanioso all’idea. Mentre, invece, ha ancora una volta ribadito l’idea di “italianità”, argomento a lui caro, parlando di Toscanini, della sua inflessibilità (“perché era inflessibile anche con se stesso!”), della grande lezione della scuola italiana nel mondo. E parlando del frac di Toscanini, da Muti acquistato per farne dono al Conservatorio, ne ha quasi elogiato la sacralità, perché “ne ha avvolto il corpo, ha assorbito il suo sudore, i suoi gesti, le sue collere, le sue occhiate, gli insulti, le gioie… E se qualcuno ha insinuato che l’avessi acquistato per indossarlo io, ricordo che Toscanini era più basso di me: avrei pertanto dovuto allungare i calzoni, sistemare la giacca. E, comunque, non sarei stato degno di indossarlo…”
E ancora sull’italianità:
“Non è una questione geografica. Il Sovrintendente della Scala è austriaco. Io sono italiano e sono direttore d’orchestra a Chicago… L’italianità è una questione di radici, che vanno salvaguardate, rispettate, amate, coltivate…” Anche con fatica e sacrificio, mentre oggi i nuovi direttori d’orchestra: “… nascono come i funghi… Chi non ha più voce si mette a dirigere, uno non suona più il flauto e diventa direttore d’orchestra… Toscanini governava tutto, si occupava di tutto, perfino dei tecnici, che, mentre lavoravano, vedevano due scarpe nere avvicinarsi… L’immensa lezione di Toscanini: prima di muovere il braccio bisogna formare la mente. E oggi, c’è mancanza di preparazione…”
Anche perché sono cambiate tante cose, ha polemizzato Muti, a cominciare dalla regia. “ La prima vera regia è musicale, poi viene quella scenica. Oggi succede il contrario… Si privilegia più la parte visiva che uditiva. Si cerca di vedere più che di ascoltare. Ecco perché è sacro il frac di Toscanini, perché parla della sua immensa lezione e del suo contenuto. La forma rappresenta il contenuto. È l’abito che fa il monaco.”