
Alex Brendemuhl e la piccola esordiente Florencia Bado in una scena di “The German Doctor”, per la regia di Lucia Puenzo
(di Paolo Calcagno) Lucia Puenzo, scrittrice e regista argentina, si è ritagliata il ruolo della coscienza critica del suo Paese. Nel suo precedente film “El Nino Pez” aveva esplorato cause e responsabilità della sua gente nei confronti dell’emarginazione e della discriminazione degli indios. Stavolta, portando sullo schermo il suo romanzo “Wakolda” (questo anche il titolo originale del film, l’anno scorso nella sezione “Certain Regard” del Festival di Cannes e Premio Speciale della Giuria al Noir in Festival di Courmayeur), Lucia Puenzo ci mostra la complicità e l’ospitalità dell’Argentina di Peron verso i criminali nazisti in fuga dalle condanne e dai tribunali europei. Una complicità che va oltre le scelte governative e gli incroci di potere e d’interesse, che poi condurranno inevitabilmente alla dittatura, ma che si estende ipocritamente a una più generale, e colpevole, indifferenza, se non a una sotterranea simpatia verso gli esecutori dell’infernale disegno di Hitler. Non a caso, a differenza che in altri “rifugi” dell’America Latina (Paraguay, Brasile), in Argentina, per legge, ai “mostri” del nazismo era, persino, consentito di conservare il loro vero nome.
In “The German Doctor” c’è la Patagonia, la vastità di un paesaggio vergine, il trasferimento di una famiglia normale a Bariloche per riaprire il vecchio albergo (simbolo di accoglienza e di ospitalità) dei genitori di Eva (Natalia Oreiro), una donna incinta di una coppia di gemelli, che con i figli e il marito ritorna nella città d’origine, dove tutti parlano il tedesco, venerano la musica e il mito della Germania hitleriana, salutano con il braccio teso e rendono omaggio alla bandiera nazista fissata sul tetto della scuola tedesca, dove la donna iscrive la figlia Lilith, interpretata dalla talentuosa esordiente Florencia Bado. Lilith ha 12 anni, è nata prematuramente e ha una crescita lenta che la fa sfigurare nel confronto con le bionde compagne di classe di origine teutonica. Lilith ha un debole per una bambola rotta che ha battezzato Wakolda e manifesta attrazione per un veterinario “straniero” (Alex Brendemuhl) che con un pretesto si è accodato al gruppo familiare nel viaggio verso Bariloche.
L’uomo ha modi gentili e si offre di curare la piccola con una terapia che, assicura, si è rivelata assai efficace con le vacche. Nella nuova destinazione, grazie al suo comportamento elegante e alla sua competenza scientifica, il veterinario conquista la fiducia e l’ammirazione della famiglia di Eva e affitta una stanza della loro abitazione. L’ambiguo personaggio assiste la difficile gravidanza di Eva, prende appunti su un taccuino fitto di disegni di corpi umani sezionati, rivela una sinistra passione per le bambole che costruisce sempre bionde e con gli occhi azzurri. Il veterinario, che si dedica morbosamente alla “crescita” di Lilith osservandone lo sviluppo del corpo di adolescente con un’attenzione tipicamente nabokoviana, in realtà, è il famoso medico Josef Mengele, “l’angelo della morte”, teorico e boia della nazigenetica, riparato in Argentina.
Sostenitore fino alla follia della purezza ariana e autore di esperimenti tremendi sui corpi di bambini e giovani prigionieri nei lager tedeschi, Mengele viene riconosciuto da una fotografa in contatto con i cacciatori di Wiesenthal, Nora Eldoc (Elena Roger), scampata ai campi di sterminio dove, giovanissima, era stata sterilizzata dal medico di Hitler. “Perché centinaia di famiglie diventarono complici di questi uomini?”, si chiede Lucia Puenzo, che aggiunge di aver voluto rievocare, prima con il romanzo e poi con il film, il clima di acquiscenza, non solo passiva, cui si erano abbandonate le comunità del suo Paese, conformandosi al clima da accoglienza e protezione messo in atto dai politici e dal governo argentini, a favore dei gerarchi hitleriani che avevano commesso crimini atroci e imperdonabili.
E, infatti, nel film della Puenzo non c’è traccia di indignazione e di condanna da parte dei protagonisti, ma solo manifestazione di timore, con conseguente distruzione dei documenti che avrebbero potuto provare la connivenza del loro rapporto con Mengele che, come è noto, morì tranquillamente nel suo letto, in Brasile, a 68 anni. Forse, la risposta giace in fondo all’Oceano, o nelle fosse scavate intorno agli stadi, dove sono stati eliminati a migliaia i “desaparecidos”, gli oppositori al regime di Videla, parte vasta di una generazione di argentini di cui si continua a sentire la dolorosa e storica mancanza.
“The German Doctor”, di Lucia Puenzo, con Alex Brendemuhl, Florencia Bado, Natalia Oreiro, Elena Roger. Argentina, 2013.