In un inferno di sesso e alcol, come in una tela di ragno, un servo s’impossessa della casa e dei sentimenti del padrone

IL SERVO. Nella foto Andrea Renzi e Lino Musella. Foto di Laura Micciarelli.

MILANO, domenica 18 novembre ► (di Paolo A. Paganini) Il romanzo breve “Il servo” è l’ambigua storia di spregiudicate bassesse morali e di spietata sottomissione psicologica ad opera d’un servo, un domestico che, a poco a poco, in una inesorabile ragnatela di subdole attenzioni, imporrà la propria volontà fino a rovesciare il ruolo servo-padrone. È stato scritto nel 1948 da Robin Maugham (1916-1981). “Un piccolo capolavoro di abiezione nel mondo anglosassone”, fu giudicato.
Nel 1963, adattato da Harold Pinter, venne trasposto sullo schermo da Joseph Losey, con Dirk Bogarde – straordinario – e James Fox. E divenne, per tanti appassionati, un film di culto (ma con tiepide accoglienze alla 24ma Mostra del cinema di Venezia).
Poiché si dice che buon sangue non mente, la scrittura di Robin Maugham richiama doverosamente la consanguineità non solo letteraria, con lo zio, l’indimenticato Somerset Maugham (1874 – 1965), affascinante scrittore e commediografo di cinica e crudele ironia (“Il filo del rasoio” – anche film con Tyrone Power e Gene Tierney, “Il velo dipinto” – con Greta Garbo – e poi “Schiavo d’amore”, “Pioggia”, e tanti altri romanzi ridotti per lo schermo). Ma Robin Maugham fu più sofferto, amaro e introverso dello zio (ricordato in “Conversazioni con zio Willie”). Lo stile dello scarno romanzo  non possiede la cattiveria di Somerset, ma forse la crudeltà, anche se si vuole immergere in altre pieghe critiche. Infatti, sia il film di Losey, con i prosciugati dialoghi di Pinter, sia il romanzo vollero, al di là della vicenda umana, mettere anche in evidenza, nella Londra degli anni Cinquanta, “la fine dei valori in Occidente” (Renzi), e la crisi dei rapporti di classe, seppur “con la logica di un thriller” (Mereghetti).
Poi arrivò il ’68, e tanti tabù, morbose soggezioni, ossessioni sessuali e differenze sociali lasciarono il posto a più liberi e spregiudicati comportamenti, con qualche tragica sostituzione. La droga al posto del sesso, per esempio.
Questo “Servo”, giunto ora al Piccolo Teatro Grassi di Via Rovello (2 tempi con un intervallo, un’ora e venti, più 45 minuti), ha un respiro drammaturgico che si richiama stilisticamente sia al romanzo sia al film. Ma qui, sulla scena, sfumano i contorni della lotta di classe, o la fine dei valori in Occidente, o le crisi del Dopoguerra, per diventare dramma universale della sopraffazione di un uomo su un altro uomo. Com’è sempre avvenuto, al di fuori di ogni catalogazione e di ogni periodo storico.
E, in platea, si è rapiti da un’angoscia che attanaglia l’attenzione, che fa trattenere il respiro, seguendo un’azione che, con cruda e spietata coerenza, non ha nessun cedimento di comprensione, di pietà, di compassione. Soprattutto, si astiene da ogni presa di posizione giudicante. Né la impone allo spettatore.
Narra lo spietato istinto della bestia umana, con le sue perversioni, con le sue miserie morali, con le sue avidità, che diventano irrefrenabili appetiti di potenza, o di subdole ipocrisie, di astuti maneggi, e di demoniaca intelligenza. E basta.
Su tutti i personaggi, poi, aleggia l’inesorabile ombra del male in un inferno senza redenzioni.
Un servo (un inquietante Lino Musella, perfetto, soprattutto quando rivela infine al sua vera natura in una sbalorditiva presa di posizione come padrone nella sua cucina) spaccia per sorella la sua puttanesca amante (Maria Laila Fernandez). E la introduce in casa come domestica, facendola intercorrere, con naturale noncuranza, dalla cucina al letto del padrone (l’inetto, predestinato alla rovina, Andrea Renzi). Intanto il diabolico, falso e ossequioso servo tesse una inesorabile strategia, fatta di zelanti attenzioni, di avvolgenti comodità domestiche, di raffinati piaceri, che finiranno per alienare al ricco e inetto padrone l’amore della giovane fidanzata (Federica Sandrini), che ha capito tutto, e del fedele amico (Tony Laudadio), che tenterà di far aprire gli occhi allo stordito padrone di casa, ormai inebetito di sesso e di alcol.
E in un ebbro amore di gruppo, tra servo, padrone e un’altra giovane prostituta, e con qualche allusione omosessuale, si concluderà nella dannazione di un inevitabile abisso, come una condanna senza scampo, il solfureo destino dei tre personaggi, rimasti soli nel loro tetro destino domestico di sesso e alcol.
Ineccepibile regia di Pierpaolo Sepe con Andrea Renzi.
Calorosi applausi alla fine per tutti. Si replica fino a domenica 25.

“Il servo”, di Robin Maugham, traduzione di Lorenzo Pavolini. Regia Andrea Renzi, Pierpaolo Sepe. Al Piccolo Teatro Grassi, Via Rovello 2, Milano.

Informazioni e prenotazioni 0242411889
www.piccoloteatro.org