Ingres (ma anche David, Canova e gli altri). In 150 opere, l’arte al tempo di Napoleone. Fra odalische e ritratti imperiali

Ingres, “Napoleone I sul trono imperiale” (1806)

MILANO, martedì 12 marzo ► (di Patrizia Pedrazzini) Erede di Raffaello e precursore di Picasso. Maestro della forma e interprete della non forma. Manierista e realista, capace di affascinare insieme per le esagerazioni espressive e per il gusto del vero. Inclassificabile, perciò rivoluzionario. Chi è stato Jean-Auguste-Dominique Ingres, pittore e disegnatore, nato a Montauban, nel sud della Francia, nel 1780 e morto a Parigi 87 anni dopo (quasi venticinque dei quali trascorsi in Italia)?
Un neoclassico? Un preromantico? “Non sempre il suo pennello seguiva quello che la sua bocca pronunciava”, avrebbe detto di lui Georges Vigne, curatore del Museo Ingres di Montauban (peraltro voluto dallo stesso artista che, prima di morire, preoccupato della fine che avrebbero fatto le proprie opere, lasciò alla città natale quasi 4.500 disegni, oltre a tesori personali, come il celebre violino, che suonava con Paganini).
Di sicuro è stato uno dei massimi esponenti nel Neoclassicismo, e insieme uno degli artefici della modernità artistica europea. Al quale Milano ora dedica, nelle sale di Palazzo Reale fino al 23 giugno, una mostra che, attraverso 150 opere (più di 60 delle quali dello stesso Ingres), ne celebra il ruolo nell’ambito della vita artistica al tempo di Napoleone. Lo stesso Bonaparte che, il 12 giugno 1805, pochi giorni dopo essersi incoronato Re d’Italia proprio nel Duomo della città lombarda con la Corona Ferrea (“Dio me l’ha data, guai a chi la tocca”), proclamava il chiaro intento di voler “francesizzare l’Italia”. Lo stesso che il pittore ritrasse, nel 1806, nel magistrale “Napoleone I sul trono imperiale”, impareggiabile icona di potere glaciale, ieratica e simbolica insieme. Anche se risulta pressoché impossibile sottrarsi, nell’ambito della medesima mostra, al fascino del magnifico “Busto colossale di Napoleone”, di Antonio Canova, del quale si può ammirare anche la celebre “Maddalena penitente”.

Canova, “Busto colossale di Napoleone” (1804-1809) – (foto pat)

Varie le sezioni del ricco percorso espositivo. Si parte dalla nascita del nuovo linguaggio figurativo nel passaggio dall’Ancien Régime alla Rivoluzione Francese, del quale è protagonista quasi assoluto Jacques-Louis David, con il suo lessico di corpi virili e di grande energia (e “Il giuramento degli Orazi”). Si passa al preromanticismo di Anne-Louis Girodet (e quindi al sorprendente “Il sogno di Ossian” dello stesso Ingres) e allo slancio creativo delle donne pittrici, prima fra tutte Elisabeth Vigée Le Brun, ritrattista ufficiale di Maria Antonietta. Si prosegue con i ritratti e i “Fasti di Napoleone” di Andrea Appiani. Ci si avvia alla conclusione (decisamente monografica) con le Veneri e le celebri Odalische, sintesi massima di sensualità e pudicizia, eleganza e voluttà. Per finire con gli “omaggi” a due maestri che Ingres considerava imprescindibili: la “Copia dell’autoritratto di Raffaello” (per l’artista di Urbino il pittore aveva un culto che rasentava il feticismo, tanto da chiederne al Papa, nel 1838, in occasione della traslazione delle spoglie al Pantheon, qualche frammento di ossa da mettere in un reliquiario oggi conservato a Montauban) e il dipinto “La morte di Leonardo da Vinci”, realizzato nel 1818.
Ingres, dunque, ma anche David e Canova. Ovvero il Neoclassicismo in tre differenti unicità di linguaggio. Non stupisce che il pittore francese, adoratore dei divini greci, che, due settimane prima di morire, era intento a copiare la “Deposizione” di Giotto a Padova, abbia esercitato la propria influenza su Degas, Renoir, Manet, Cézanne. Fino al catalano Pablo Picasso. Quanto devono le sue rivoluzionarie “Demoiselles d’Avignon” al “Bagno turco” del maestro di Montauban?

“Jean Auguste Dominique INGRES e la vita artistica al tempo di Napoleone”, Milano, Palazzo Reale, fino al 23 giugno 2019

www.mostraingres.it