(di Marisa Marzelli) Sembrava solo una copia sbiadita della ben più blasonata saga blockbuster Hunger Games, e invece la serie Divergent, giunta ora al secondo episodio Insurgent (seguirà il capitolo finale, suddiviso in due pellicole in uscita rispettivamente a marzo 2016 e 2017), strada facendo ha conquistato fan. Soprattutto per la popolarità ottenuta nel frattempo da alcuni giovani interpreti. A partire dalla protagonista Shailene Woodley e da Ansel Elgort (erano la coppia di malati del campione d’incassi per teenager Colpa delle stelle) e da Miles Teller, lo studente di musica rivelato dal film outsider Whiplash, vincitore di tre Oscar nello scorso febbraio. Memorizzate i loro nomi perché, se vanno avanti così, assicureranno un ricambio generazionale a Hollywood. Ma accanto a loro in Insurgent ci sono anche star di lungo corso come Kate Winslet, Naomi Watts e l’asiatico-statunitense Daniel Dae Kim, noto per le serie tv Lost e Hawaii Five-0.
Divergent nasce da una trilogia di romanzi scritti tra il 2011 e il 2013 dall’appena 26.enne americana Veronica Roth (in italiano pubblica De Agostini in una collana per ragazzi). Si tratta di un racconto avventuroso ambientato in un futuro post-apocalittico caratterizzato da una società di stampo orwelliano. In una città in rovina, non chiaramente indicata ma si tratta di Chicago, gli abitanti sono divisi in cerchie rigidamente separate. Ci sono gli Altruisti, i Candidi, i Pacifici, gli Eruditi, gli Intrepidi. Chi non rientra in una di queste classificazioni finisce tra gli Esclusi, che sono i poveri e gli emarginati. Oppure, denotando destabilizzanti segni di individualismo non facilmente controllabile dal potere, viene classificato come un ribelle, un Divergente.
Siccome i generi fantasy e fantascienza richiedono la costruzione di universi con regole proprie ma che simbolicamente alludono al mondo reale (da ciò il termine distopia per intendere l’interfaccia negativa dell’utopia), Divergent mette in scena gli aspetti portati alle estreme conseguenze di una società coercitiva, intollerante del dissenso e dei diversi, assetata di controllo sul pensiero e di totale omologazione. C’è quindi uno sguardo critico sulla collettività statunitense, incline al conformismo del ceto medio e confrontata con il declino dell’american dream. Ma non è neanche il caso di enfatizzare troppo i risvolti sociali e politici di saghe come questa, destinata ad un pubblico di adolescenti desiderosi di racconti d’avventura e della possibilità di identificarsi in caratteri ribelli, tipici della loro età.
La complessa struttura del mondo Divergent è stata illustrata nel primo episodio, in questo secondo si sviluppano le vicende della coraggiosa protagonista Tris (Shailene Woodley), del suo boyfriend (Theo James) e di un gruppetto di altri ragazzi in fuga dall’autorità della tirannica Jeanine (Kate Winslet), intenzionata a catturarli anche perché i Divergenti sono gli unici in grado di decifrare una misteriosa scatola che contiene un messaggio criptato degli antenati. Tris, Divergente al cento per cento (appurato da un apposito apparecchio di controllo), viene sottoposta ad una serie di simulazioni, indotte da un siero, che la mettono a confronto con i suoi demoni interiori. Tutto questo processo avviene nella mente della ragazza ma è mostrato come realistico. Riassunta sommariamente così, la trama appare bislacca e incoerente; sta poi alla qualità della realizzazione cinematografica ottenere quell’effetto di sospensione dell’incredulità per cui il pubblico accetta di stare al gioco e godersi il racconto.
Diretto dal regista tedesco Robert Schwentke e distribuito anche in 3D, Insurgent – che parte bene e mantiene sempre un ritmo elevato – purtroppo con l’avanzare del plot pecca di superficialità e pressappochismo narrativo, evidenziando buchi di sceneggiatura, psicologie risibili o troppo ambigue e trovando soluzioni visive spesso “rubate” da altri film. Come nel caso eclatante dello sbriciolamento di intere costruzioni, una spettacolare trovata di Inception di Christopher Nolan.