(di Marisa Marzelli) A leggere i commenti della stampa italiana, dopo il Palmarès, sembra che la notizia non sia chi ha vinto, piuttosto che gli italiani in concorso non hanno vinto. Una visione smaccatamente italocentrica del cinema. Avallata dalla politica, tanto che il ministro Dario Franceschini ha twittato, bontà sua, “Cannes è un grande festival anche quando gli italiani non vincono”. Reazioni degne – caso mai – dei mondiali di calcio ma non del festival cinematografico internazionale ancora considerato il più prestigioso al mondo.
Il fatto è che per coinvolgere l’opinione pubblica generalista ad appassionarsi alle cronache di un festival di cui non ha ancora visto i film (salvo, in parte, quelli nazionali), si trasforma il concorso in una sorta di gara sportiva, dove si fa il tifo per la nazionale. Detto questo, non credo che i registi italiani in gara siano stati scippati di premi a loro dovuti.
Dovuti perché?
Bastava leggere qualche critica britannica, per esempio, per capire che – pur con la superba interpretazione dell’82.enne Michael Caine – La giovinezza di Sorrentino ha destato più di una perplessità. Mentre, restando in casa, ai prossimi David di Donatello che verranno assegnati il 12 giugno, Mia madre di Moretti ha racimolato un numero di candidature (10) inferiore ad Anime nere di Francesco Munzi (16) e Il giovane favoloso di Martone (14). Sono segnali di italico gradimento non plebiscitario. Ma anche questo significa poco. I meccanismi dei festival, e figuriamoci quelli importanti come Cannes, sono complessi. Ad esempio, sembra banale ma è la base: ogni giuria attribuisce un Palmarès che è solo frutto dell’alchimia formatasi tra i suoi membri. Una giuria diversa da quella presieduta quest’anno a Cannes dai fratelli Coen avrebbe stilato un verdetto diverso. Perché non esiste una matematica scala di valori per attribuire un premio artistico. Tanti film diventati pietre miliari del cinema non hanno vinto il festival al quale sono stati presentati: accadde nel 1960 a Venezia: a Rocco e i suoi fratelli di Visconti andò solo il Leone d’argento, vinse Il passaggio del Reno di André Cayatte, di cui oggi nessuno si ricorda più. Sempre a Venezia, Gli spietati di Clint Eastwood non venne nemmeno ammesso perché i selezionatori (direttore era allora Gillo Pontecorvo) decretarono che il genere western non interessava più a nessuno. Gli spietati vinse poi quattro Oscar. Tutto per il verso giusto invece a Cannes nel 1960, quando Fellini vinse meritatamente la Palma d’oro con La dolce vita. E questa vittoria mise a tacere le critiche interne italiane, perché il capolavoro felliniano era uscito nelle sale tra furiose polemiche.
Lo stesso Jacques Audiard, Palma d’oro di quest’anno a Cannes con Dheepan, ha ringraziato Michael Hanneke per non essere in concorso. Sottintendendo che il regista austriaco gli aveva sbarrato la strada verso la Palma d’oro sia nel 2009 vincendo per Il nastro bianco (Audiard arrivò secondo con lo splendido Il profeta), sia nel 2012 con Amour, quando Audiard presentava il pur notevole Sapore di ruggine e ossa.
Si mettano dunque il cuore in pace i supporter tricolori acritici e incondizionati di Mia madre, La giovinezza e Il racconto dei racconti.
Moretti, Sorrentino e Garrone sono registi importanti, un segno l’hanno già lasciato nel cinema internazionale e in futuro certamente gireranno ancora buoni film. Già il fatto di essere stati selezionati anche quest’anno per il concorso è un segno di grande stima (in gara a Cannes va solo la migliore scrematura del cinema mondiale e qualche outsider di grande talento). Poi, vincere dipende da molti fattori, alcuni imprevedibili, e ci vuole fortuna. Stavolta hanno vinto i padroni di casa e il cinema più declinato politicamente. Chi non rientrava nel trend è rimasto al palo. Non è un dramma. Sarà poi il tempo, come sempre, a decidere quali film resteranno nella memoria collettiva e nella storia del cinema e quali spariranno nell’oblio.
Italica disperazione come dopo una sconfitta della nazionale di calcio. Ma a Cannes, calma, nessuno è stato scippato
25 Maggio 2015 by