(di Paolo Calcagno) Paolo Virzì è un regista livornese, caustico e spontaneo, tecnicamente molto preparato e con la virtù di saper far affiorare la profondità. Virzì ha il dono di cogliere i particolari di situazioni complesse e di elevarli a espressioni che rendono ampiamente e godibilmente l’idea del tema che affronta: è un regista bravo, ma non geniale, istintivo ma non acuto. Ama “spiare” ciò che conosce, o che lo sollecita a livello di pelle (“Ovosodo”, “Caterina va in città”, “Tutta la vita davanti”, i suoi film più riusciti e interessanti), ma se punta l’obiettivo su tematiche critiche della nostra società non va oltre una pseuda antropologia sociale, benché narrativamente corretta, e rischia di affidarsi a stereotipi usurati che aggiungono poco o nulla alla nostra conoscenza, che si profilano come moralistici e che, certo, non emozionano.
Con “Il capitale umano” Virzì ha trasferito dal Connecticut in Brianza il romanzo-thriller di Stephen Amidon: una vicenda di speculazione e corruzione ad opera della borghesia medio-alta, pronta a tutto pur di avvantaggiarsi a spese altrui, priva di principi etici e di qualità affettiva. Alta finanza, auto costose, ville con feste sfarzose, abiti di lusso e rolex in evidenza ai polsi, la vetrina luccicante allestita da Virzì per mostrarci la famiglia di un immobiliarista senza scrupoli (Fabrizio Gifuni), di quelli che sono riusciti “a far fallire questo Paese”, come gli rimprovera la consorte (Valeria Bruni Tedeschi), prototipo della bambola di ceramica, triste e dolente, tipica di quel ramo sociale, che cerca di sottrarsi al peso della sua inutilità con iniziative culturali che non approdano a nulla se non alle scontate corna di cui beneficia l’intellettualino di turno (Luigi Lo Cascio).
Fabrizio Bentivoglio e Valeria Golino interpretano, anch’essi convincentemente, l’ebete tramonto di una famiglia di industrialotti brianzoli. Costoro sono i genitori della “deb” Matilde Gioli, fidanzatina dell’altro esordiente Guglielmo Pinelli, figlio del potente affarista supercafonal, destinato anch’egli a precipitare negli abissi di un’operazione finanziaria mal calcolata.
Un cameriere finito sotto le ruote di un “suv” durante una fuga notturna causa il “giallo” che imbratta la vita delle rispettabili famiglie, senza tuttavia aggiungere brividi o scossoni benefici al placido racconto filmico di Virzì. Né il riferimento al “capitale umano”, che dà il titolo al film (ossia la valutazione della cifra che in base a età e reddito della vittima stabilisce il risarcimento che spetta ai familiari), eleva più di tanto il “tasso d’interesse” di questo film che, sebbene ben realizzato tecnicamente, non va oltre il melassato racconto sui “ricchi e cattivi” che tanto ha fatto incazzare l’assessore leghista al Turismo della Provincia di Monza, Andrea Monti, l’ultimo a sventolare la bandiera della favola della laboriosa e onesta borghesia brianzola, umiliata e offesa da Roma ladrona e dal suo Cinema.
“Il capitale umano”, di Paolo Virzì, con Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, Valeria Golino, Fabrizio Bentivoglio. Italia, 2013.