La caccia, icona metamorfica tra uomo e animale. Prima che da qui cominciasse a professarsi la storia del divino

Desktop8(di Andrea Bisicchia) Quando ci si accosta a un libro di Calasso, le competenze del recensore debbono essere multidisciplinari, perché si trova, contemporaneamente, dinanzi a una narrazione, a un saggio, a un trattato, con apporti provenienti dalla mitografia orientale e occidentale, dalla etnografia, dall’antropologia, dalla storia delle religioni. Allora cosa fare? Abbandonarsi alla scrittura, alle sue fonti, al suo modo di trattarle e, soprattutto, di farle proprie.
In “Il cacciatore celeste”, edito da Adelphi, Calasso, sfoggiando una cultura enciclopedica, si addentra nel problema delle Origini con la convinzione che ogni cosa sia subordinata a un processo metamorfico, del quale sono succubi anche le divinità. Egli le fa iniziare con le origini della caccia, quando l’uomo incominciò a inseguire l’animale e, a questo proposito, riporta una serie di aforismi che la riguardano, alla quale fa risalire il pensiero antico che precede quello dei Sapienti, benché non fosse chiaro a che cosa la caccia servisse veramente, chi fossero i contendenti e come avvenisse la metamorfosi tra uomo e animale e viceversa.
La sua nascita, secondo Calasso, fu un atto inevitabile, una sorta di polemos che precede il pensiero eracliteo. Soltanto con l’avvento della pastorizia e dell’agricoltura, l’animale ritornò a essere animale, separato, quindi, dall’uomo, permettendo, nel frattempo, l’abolizione della interscambiabilità, in particolare, quella tra la caccia e il divino. Calasso è ben consapevole che tutte le Origini appartengano al mondo dell’ipotetico che potrà essere soppiantato solo con l’avvento della scrittura che, a sua volta, riesce a dare compostezza e significato alla ritualità e al modo di sacrificare, oltre che di interpretare le gesta degli sciamani che vissero, per primi, questo rapporto. Anche gli animali avevano un sovrano malizioso e lussurioso, geloso e curioso, attento all’operato dei cacciatori, ma, essendo in tanti, i sovrani degli animali andarono moltiplicandosi. Tra tutti, si impose la Sovrana degli animali che, forse, un tempo era stata un albero e quindi anch’essa sottoposta al processo metamorfico innato alla Natura, della quale lei ne è un supporto.
Calasso ci accompagna lungo un tragitto che dai sovrani degli animali ci conduce alle divinità mitiche, ovvero a quello che sarà, secondo Platone, il rapporto tra caccia e conoscenza. Così si intrattiene sulle prime divinità che hanno avuto un rapporto con essa: Orione, il cacciatore dagli occhi celesti, Artemide, Eros, cacciatore prodigioso, Atteone punito, secondo Euripide, per essersi ritenuto cacciatore superiore ad Artemide, Apollo. Artemide, a suo avviso, fu la più pura e la più feroce e rese la caccia incestuosa perché presupponeva una forma di intimità tra l’animale cacciato e il cacciatore. Fu, però, Procri la vera cacciatrice incestuosa, moglie del cacciatore Cefalo, alla quale Minosse donò il giavellotto dalla punta d’oro.
A Calasso interessa raccontare la storia del divino prima degli dei, convinto che si possa vivere senza di essi, ma non senza il divino, ritenuto eterno, che inizia a professarsi attraverso la caccia e, in forma iconica, attraverso gli dei, concepiti, non come atto di fede, bensì come un modo di accostarsi e di comprendere la vita. La questione, per l’autore, non sta nel credere in loro, bensì nel riconoscerli, benché anch’essi facessero parte del processo metamorfico, proprio perché, prima di essere tali, erano stati: “il sole e la luna e la terra e gli astri in cielo”, perennemente in moto, come scrive Platone. Per questo, forse, appartengono  all’ignoto, all’invisibile, benché, a modo loro, avessero un rapporto personale con il visibile. Erodoto parlava di origine letteraria non del divino, ma della specificità del divino, ben diverso, sia dal sacro che dal santo, fino a quando non verrà assorbito dalle Istituzioni e trasformato in dogmi e in sacramenti, privandolo della sua forma primaria che è il mistero.
Tra le tante incursioni, Calasso ne fa una breve nel teatro, cita Aristofane, per il quale il carattere irriducibile dei Misteri è “dire molte cose da ridere e molte cose gravi”, ma cita anche Tertulliano per la sua diatriba contro gli spettacoli. Riti, misteri, generi teatrali si addensano nella scrittura “a spirali” di Calasso il quale stabilisce che l’inizio e la fine della mitografia greca avvengano nel trapasso che da Omero conduce a Nonno di Panopoli nel V secolo dopo Cristo, mentre il Grande cacciatore, con la sua parte divina, non smetterà di inseguire la sua preda. È un fatto da ritenere irrazionale? Solo che, senza l’irrazionale, non è possibile accostarsi al razionale.

Roberto Calasso, “Il cacciatore celeste”, Adelphi 2016, p. 508, € 27.