La “Celestina” di Luca Ronconi al Piccolo Teatro tra erotismo e pornografia

Milano. Lucrezia Guidone in una scena di “Celestina”, regia di Luca Ronconi, al Piccolo Teatro Strehler (foto Luigi Laselva)

Milano. Lucrezia Guidone in una scena di “Celestina”, regia di Luca Ronconi, al Piccolo Teatro Strehler (foto Luigi Laselva)

(di Paolo A. Paganini) C’era una volta, sul finire del Cinquecento, “La commedia di Calisto e Melibea”. Autore? Mistero. Un po’ come per Shakespeare. Di edizione in edizione, circa cinque (dal 1499), la commedia passò dai sedici atti iniziali a ventuno. Con la quinta edizione, dal titolo “Tragicomedia de Calixto y Melibea y de la puta vieja Celestina”, venne definitivamente chiamata semplicemente “Celestina”, personaggio motore di tutta la mastodontica opera. E con questa, finalmente, si conobbe l’autore, “El Bachiller” Fernando de Rojas. Se di lì a quasi un secolo dopo non fosse arrivato Cervantes, De Rojas sarebbe ricordato oggi in assoluto come il più grande e celebre autore spagnolo. Rimane tuttavia come iniziatore del teatro moderno, colui che influenzò tutta la letteratura iberica, compreso Cervantes, compreso Lope de Vega.
Celestina, mezzana, tenutaria di bordello, mammona, vecchia perversa, lucidamente perfida, genio del male, ruffiana, temerariamente impudica in quel periodo di rigida moralità, è al centro di una trama semplicissima, fatta di intrighi, di filtri magici, di passioni, e quindi fatalmente destinata a finire tragicamente in lutti e sangue. Calisto, dunque, impazzisce d’amore per la bellissima Melibea, che lo respinge. Sempronio, servo di Calisto, lo consiglia di rivolgersi a Celestina, la vecchia malafemmina, intrigante e capace di ogni sortilegio d’amore. E Celestina, con ingegnosi pretesti, riesce a convincere la recalcitrante e bellissima fanciulla, vergine e pudica, a darsi al giovane, in un gorgo di travolgente e irrefrenabile passione. Ma una notte, Calisto, lasciando la ragazza, mette malamente un piede sulla scala che lo portava di nascosto all’amato bene, cade e muore. Melibea, disperata, si getterà dall’alto di una terrazza. Nel frattempo, in rapida successione, i due servi di Calisto, per non aver avuto giusto compenso da Celestina, la uccidono; e, a loro volta, vengono giustiziati.
Tutto questo emerge in pagine di plebei e bassi capitoli di altissima letteratura, con finezze psicologiche e sottigliezze stilistiche, pur nella licenziosità dell’opera, che penetrano con abilità sconcertante negli abissi dell’anima umana. “La Celestina” è stata tradotta in tutte le lingue europee, ed ha avuto svariate trascrizioni e riduzioni. L’ultima (1991), di Michel Garneau, con il titolo “Celestina, laggiù vicino alle concerie in riva al fiume”, in scena al Piccolo Teatro Strehler, tre ore e mezzo con un intervallo, è ora firmata da Luca Ronconi. E farà molto parlare.
In bilico fra erotismo (carica di sensualità nell’attrazione sessuale) e pornografia (raffigurazione di soggetti erotici che offendono il pudore), l’azione drammaturgica, lenta e tuttavia solenne, nella tipica estetica ronconiana di estenuare recitazione e plastiche gestualità, analitici passaggi psicologici e dinamici scatenamenti d’irrefrenabile sensualità, è posta su tre precise e scandite accentuazioni narrative e figurative: 1) l’infoiamento dell’erotomane Calisto, che nella sua foga masturbatoria si farebbe il mondo intero; 2) il fin troppo brusco passaggio alla scoperta del sesso da parte della timorata fanciulla Melibea; 3) la sovrastante presenza di Celestina, che tutto avvolge e condiziona con la sua mefitica esaltazione del sesso, centro motore di ogni piacere, di ogni desiderio, dove non c’è posto per sentimento e spiritualità, ma tutto è vizio e corruzione. Di questo passo, non ci si meraviglierà delle varie orge onanistiche, di umide deflorazioni di vergini, di nudità femminili e maschili in copule, di iterate frequentazioni in postriboli e anfratti compiacenti.
E, a proposito di anfratti, la scena è un vero campionario di botole e porte semoventi, sempre così amate da Ronconi.
Dei quattrodici interpreti, almeno nomineremo – e come astenersi? – Maria Paiato, ch’è una Celestina tragicamente perversa e tuttavia capace d’un alone di ingenua animalità con quella sua spicciola santificazione plebea di soldi e sesso. Paolo Pierobon sarà ricordato come una delle massime espressioni di erotomania scenica. Lucrezia Guidone, nel ruolo di Melibea, nuda, innocente vittima sacrificale per troppo amore e per null’altro, è stata tenera e convincente. Bene anche il servo Sempronio, interpretato da un eccellente Fausto Russo Alesi. Apprezzabili tutti gli altri. Applausi cordiali alla fine per tutti, regista e collaboratori compresi.

“Celestina, laggiù vicino alle concerie in riva al fiume”, di Michel Garneau, da Fernando de Rojas, regia di Luca Ronconi. Al Piccolo Teatro Strehler, Largo Greppi, Milano. Repliche fino a sabato 1 marzo.