La comicità travolta dall’infamia del nazismo. E il miserabile ladruncolo troverà alla fine l’orgoglio del riscatto

Ladro Razza dapporto

MILANO – Massimo Dapporto in “Ladro di razza”, in scena al San Babila

MILANO, sabato 21 marzo   
(di Emanuela Dini) Un piccolo ladruncolo appena uscito di galera, più pavido e pasticcione che criminale; l’amico d’infanzia onesto lavoratore e con ideali socialisti, “Mio papà era amico di Giacomo Matteotti”; la zitella ebrea, donna manager ante litteram che ha passato la vita ad “accumulare, accumulare, accumulare”: eccoli, i tre protagonisti di “Ladro di razza”, in scena al San Babila, con un Massimo Dapporto in gran forma e dai risvolti inaspettatamente drammatici, in una commedia dolce-amara e dai toni neorealisti.
La vicenda si svolge in una Roma distrutta dalla guerra, subito dopo l’8 settembre e racconta gli sconclusionati progetti di Tito (il ladro), perennemente alla ricerca del “colpo grosso” e il suo tentativo di coinvolgere nei suoi progetti di furto l’integerrimo Oreste, operaio alle fornaci di Valle Aurelia per 500 lire al mese.
Vittima del colpo, la ricca zitella ebrea Rachele, padrona della fornace, che Tito prima corteggia e poi seduce con l’obiettivo di svaligiarle la casa.
Ma la commedia, che inizia con toni comici e grotteschi, lascia intravvedere già a metà del primo tempo una piega più drammatica, con accenni espliciti alla resistenza, alla famigerata “via Tasso” (nei mesi dell’occupazione nazista di Roma, dall’11 settembre 1943 al 4 giugno 1944, caserma, luogo di tortura e carcere delle SS) e poi al rastrellamento del ghetto ebraico di Roma, la mattina del 16 ottobre 1943, quando 1024 persone vennero catturate e mandate in 18 vagoni piombati ad Auschwitz, nonostante avessero consegnato a Kappler i 50 chili d’oro che avrebbero dovuto evitare la deportazione.
La commedia ondeggia con levità, e alterna situazioni di trascinante comicità a parentesi più profonde e commoventi; viene raccontata un’Italia stremata dalla guerra, una Roma irriconoscibile con gli orti di guerra in piazza Venezia, ma anche il riscatto morale del ladruncolo Tito, opportunista e vigliacco, catapultato di colpo in una vicenda più grande di lui, che scoprirà il valore dei sentimenti e troverà il coraggio di un grande riscatto, con gli ultimi dieci minuti altamente drammatici che ribaltano un testo per il 90% comico. Una storia neorealista (costumi, musiche, colori) di povertà, ingenuità e inganni, ma anche di onore, compassione e orgoglio.
La scena è divisa in due, e mostra da un lato la catapecchia di Oreste e dall’altro la lussuosa casa borghese di Rachele; le musiche accompagnano le due ore di spettacolo (due tempi di circa un’ora ciascuno) e i tre protagonisti – Massimo Dapporto, Blas Roca Rey e Susanna Marcomeni – sono in stato di grazia. Da segnalare la caratterizzazione che Susanna Marcomeni regala alla sua zitella Rachele, brutta, gobba e goffa, che rifiorisce con risatine soffocate e scalmane grazie all’amore scoperto per la prima volta a 55 anni, guadagnandosi meritatissimi applausi a scena aperta. E calorosi consensi alla fine per tutti.

LADRO DI RAZZA, di Gianni Clementi, regia Marco Mattolini. Con Massimo Dapporto, Susanna Marcomeni, Blas Roca Rey. Teatro San Babila, Corso Venezia 2/A, Milano – Repliche fino a domenica 29 marzo