La divina musica di Gluck nel buio degli Inferi. Un trionfo. E Juan Diego Florez, con acuti unici al mondo, lascia sbigottiti

MILANO, domenica 25 febbraio (di Carla Maria Casanova)Orphée et Euridice” di Gluck per la prima volta alla Scala nella versione francese. Diciamo subito, così non ci pensiamo più, che è stato l’atteso trionfo, con ovazione per interpreti, coro, balletto e orchestra; ovazione con schiamazzi di entusiasmo per Juan Diego Florez e Michele Mariotti; qualche buu per John Fulljames / Hofesh Shechter / Conor Murphy (regista/coreografo/scenografo). Lo spettacolo è una produzione del Covent Garden di Londra. È articolato in modo complesso, con l’orchestra su un grande ponte mobile a saliscendi situato a metà palcoscenico, dietro o davanti al quale agiscono alternativamente interpreti, coro e parte del corpo di ballo. Gli interpreti vocali fanno riferimento al direttore d’orchestra grazie ai monitor diffusi in posizioni strategiche. Il povero direttore invece non li vede, i cantanti, e deve arrangiarsi. Dal risultato, si arrangia benissimo.
Il palcoscenico, così frazionato, non comporta scene. C’è una sedia e una cospicua quantità di lanterne da minatori. L’Ade, vedi Inferi, dove il dramma ha luogo, è per tradizione molto oscuro e fumoso. Siccome l’azione nel mito di Orfeo è scarsa (i personaggi sono tre), sono state ripristinate alla grande le danze che vanno benissimo quando stanno anche in partitura (vedi danza delle Furie o il ballo con flauto obbligato) ma disseminate sull’intera durata dello spettacolo, 120 minuti con un intervallo, finiscono per appesantire e  distrarre.
Opinabile pure la chiave di lettura della regìa, tutta portata ad una interpretazione realistica carnale, vedi erotica, dove persino l’Amore, che nell’immaginario popolare è un paffuto putto con faretra a tracolla, qui è una donzella in giacca e pantaloni dorati, tacchi a spillo e scollatura vertiginosa alla Hunziker-Sanremo.
Quanto a Euridice, la casta sposa ormai nella pace dell’Aldilà, è qui una virago assatanata che non appena rivede lo sposo amato gli si butta addosso intenzionata a riconquistarlo con una mega-seduzione e l’uomo, si sa, è fragile davanti a certi argomenti. Euridice è fondamentalmente una emerita rompiscatole, della serie Elsa (Lohengrin) e Senta (Olandese volante), le innamorate cretine che a furia di voler sapere quanto è stato loro vietato (“Mai devi domandarmi”) finiscono per perdere tutto. Pazienza. Peggio per loro.
Passiamo al divino Gluck. La versione francese (1774) del primo Orfeo (1762), riscritto praticamente da capo per compiacere i parigini, è un’opera nuova, specie per quel che riguarda i recitativi, adattati alla lingua. La stessa orchestrazione fu modificata, con l’inserimento di nuove parti vocali e strumentali. Divenne un’opera più ampia e grandiosa. Il protagonista, in partenza un castrato, fu sostituito da un controtenore o da un mezzosoprano. L’opera ebbe subito grande successo in tutta Europa. Poi arrivò Berlioz (1859) a rimaneggiare il tutto con tocco romantico e la sua sarà la versione più spesso ripresa ai nostri tempi.
Qui, alla Scala, abbiamo come Orfeo il tenore dei tenori per questi ruoli acuti: Juan Diego Florez, forse unico al mondo a cantare “in voce” (e in quale modo) il repertorio acutissimo. Florez spiega che non usa il falsetto o “canto di testa”, perché non rientra nella sua natura, “emetterei dei suoni strozzati”. Come dire, dato che non mi verrebbe bene un do faccio un re naturale. Florez asserisce che questo Orphée (versione francese) è l’opera più acuta che abbia mai cantato. E lascia sbigottiti, perché si riteneva che i famosi nove do della Figlia del reggimento fossero un’arditezza estrema. Ma se lo dice lui. Tenore rossiniano per eccellenza (divo indiscusso del Rof di Pesaro), 44 anni, elegante, slanciato, bello, un po’ ”sulle sue”, Florez come al solito ha spopolato.
Piaciuta molto pure Christiane Karg – Euridice che aveva debuttato alla Scala come Sophie nel Rosenkavalier, ruolo di poca soddisfazione. L’arrapante Amore è un giovane soprano turco della Accademia scaligera: Fatma Sahd. Dà l’impressione di voler fare molta strada.
Se i cantanti sono bravi, il Coro, diretto come sempre da Bruno Casoni, è assoluto protagonista. Splendido. Così Mariotti, per la prima volta sul podio della Scala in un’opera così impegnativa. Non ancora quarantenne, già bacchetta di riferimento in campo internazionale, Mariotti ha puntato in Orphée sulla violenza del dolore per una perdita. La sua direzione è stretta, intima, precisa come un bisturi che incide.

TEATRO ALLA SCALA – “Orphée et Euridice”, di Christoph Willibald Gluck, Direttore Michele Mariotti – Con Juan Diego Flórez (Orphée), Christiane Karg (Euridice), Fatma Said (L’Amour) – Compagnia di danza Hofesh Shechter Company – Produzione Royal Opera House Covent Garden, Londra – Repliche: mercoledì 28, sabato 3 marzo, martedì 6, domenica 11, mercoledì 14, sabato 17.

Info: 02 72 00 37 44
www.teatroallascala.org