(di Andrea Bisicchia) – Ci siamo occupati, sulle pagine di questo giornale, del genere fiabesco, facendo riferimento a “L’uccellino azzurro” di Maeterlinck, messo in scena da Luca Ronconi, che ne fu anche il traduttore nel 1979. Il regista ne aveva trasformato la struttura fantastica in una struttura onirico–simbolica, in modo che lo spettacolo potesse coinvolgere i fanciulli e gli adulti, esperimento che, in maniera del tutto diversa, fu continuato anche da Carmelo Bene, col suo “Pinocchio”, una specie di Peter Pan che non ha alcuna voglia di crescere.
Sia a Ronconi che a Bene è mancata quella continuità con cui Emma Dante ha esplorato alcune delle favole più famose, eliminando ogni intendimento moralistico e portando avanti l’idea che, il mondo delle favole, possa e debba interessare anche ai grandi. “Non tutti vissero felici e contenti. Emma Dante tra fiaba e teatro” è il titolo del volume di Simona Scattina, che ritorna sull’argomento, con una indagine approfondita su come la Dante si sia accostata alla favola tradizionale, intervenendo nel suo interno, con un approccio di tipo antropologico, ormai tipico del suo mettere in scena un testo.
Emma Dante è come quei pittori che si riconoscono per certi segni inconfondibili, non per nulla il suo teatro è costruito, oltre che sul culto del corpo, anche sul culto dell’immagine, solo che, dietro le sue immagini, non troviamo nulla di statico, essendo alquanto immaginifiche e, pertanto, dinamiche, proprio perché costruite sul dinamismo della fantasia, che si fonda con una creatività le cui basi partono da una situazione reale per inoltrarsi nella sfera del mistero, dell’occulto e del meraviglioso.
In questi ultimi decenni si è parlato molto di “visual culture”, la stessa Scattina ne è una studiosa, il cui compito consiste nell’approfondire il culto dell’immagine attraverso un interessante intervento multidisciplinare che va oltre la ricerca dei contenuti. Una volta il rapporto lo si sintetizzava nelle formule: “Vita e forma”, per quanto riguarda Pirandello, o “Forma e contenuto”, per quanto riguarda Benedetto Croce. Quando, alcuni decenni dopo, Vladimir Propp intraprese uno studio scientifico sulla “Morfologia della fiaba”, lo fece con la consapevolezza che la morfologia non è altro che lo studio delle forme, pertanto, nel momento in cui intese analizzare le oltre mille fiabe a disposizione, volle proprio esaminarne le forme con tutte le possibili varianti, anche perché, la ricerca sull’argomento, fino a quel momento, era stata di tipo compilatorio e non certo comparativo. Era come dire che le fiabe potessero essere soggette a quel processo metamorfico che caratterizzava i grandi miti.
Dopo Propp, sono venuti Bettelheim e Todorov, con i loro studi sulle favole, pertanto, la maniera di approcciarsi ad esse è del tutto cambiata. Simona Scattina ne è consapevole ed ha diviso il suo lavoro in cinque capitoli che possono considerarsi una specie di viaggio nel mondo onirico, non solo delle fiabe, ma anche in quello della “regista-artigiana”, alla quale attribuisce una “nuova grammatica della fantasia” con cui interviene nel mondo incantato delle streghe, delle fate, delle principesse, le cui storie non sempre hanno un lieto fine.
I testi presi in esame sono: “Anastasia, Genoveffa e Cenerentola”, “La bella Rosaspina addormentata”, “Cappuccetto Rosso”, “Biancaneve”, “La scortecata”, “Rosinella e Carolina”.
Sono favole che appartengono al nostro immaginario collettivo che, però, la regista cerca di stravolgere con l’utilizzo di quel suo linguaggio teatrale che non intende fare sconti a nessuno, pertanto Grimm, Andersen, Perrault, Basile diventano oggetto di una sua particolare rivisitazione, che, a volte, potrebbe sembrare, persino, eccessiva.
Dicevo, all’inizio, della continuità che caratterizza il lavoro di Emma Dante, con la collaborazione di Carmine Maringola, continuità riscontrabile anche nelle sue regie liriche di andamento favolistico come “La Cenerentola” di Rossini, “L’angelo di fuoco” di Prokof’ev, e la recentissima “Rusalka” di Dvoràk, alla Scala, una fiaba sul fallimento nel voler conciliare natura e cultura.
Simona Scattina è entrata nel mondo immaginario di Emma Dante evidenziandone le ibridazioni, gli stilemi spesso ricorrenti, ma che appartengono alla visione scenica della regista, sempre attenta a riattivare il mito quando mette in scena una tragedia come “Eraclei o la favola, quando cerca di assimilarla al suo mondo interiore. È come se tutto il suo teatro, a cominciare dalla trilogia “mPalermu”, “Carnezzeria”, “Vita mia”, oggetto della prima monografia, sulla Dante, di Anna Barsotti, anche autrice della Prefazione del libro della Scattina, potesse avere inizio con “c’era una volta…”
“NON TUTTI VISSERO FELICI E CONTENTI – Emma Dante tra fiaba e teatro”, di Simona Scattina, Titivillus editore 2019, pp. 198, € 19.