(di Patrizia Pedrazzini) – C’è Yoon-ju, ricercatore disoccupato e frustrato che, non lavorando, non riesce neanche a mettere insieme i soldi per pagare, al rettore dell’università, la tangente necessaria per diventare professore. Così, ansioso e insoddisfatto, non trova di meglio che prendersela con i cani del condominio, tormentato dal loro abbaiare e dal disturbo che secondo lui gli arrecano, impedendogli anche di pensare. Il primo, appartenente a una bambina, lo lascia goffamente morire di stenti in cantina (dove il portiere dello stabile, evidentemente amante del genere, penserà bene di cucinarselo in stufato); il secondo, unico conforto di un’anziana donna, lo fa volare giù dall’ultimo piano.
Ma c’è anche Hyun-nam, giovane segretaria dolce e un po’ svampita, tuttavia forte e testarda (la già bravissima Bae Doo-na di “Mr Vendetta”), che invece i cani li ama e che si appassiona alle vicende delle bestiole scomparse, fermamente intenzionata a incastrare il responsabile.
E poi c’è Eun-sil, la compagna di Yoon-ju che, incinta del primo figlio, ha in più un discreto lavoro, per cui non solo tratta l’uomo come uno straccio, ma lo umilia anche in continuazione, utilizzandolo a mo’ di schiavetto. E che, una bella sera, torna a casa con in braccio un cagnolino bianco, che già adora e del quale, ovviamente, ordinerà al compagno di occuparsi durante la giornata. Non dopo averlo riempito di raccomandazioni…
Girato nel 2000, arriva sugli schermi italiani, in versione originale e sottotitolato, “Cane che abbaia non morde”, opera prima del regista sudcoreano Bong Joon-ho, Premio Oscar nel 2020 per “Parasite”. Assurdo, surreale, in qualche punto sospeso tra l’horror e il thriller, il film sembra contrapporre due letture, l’una tuttavia a supporto dell’altra. Da un lato la bizzarria, se non la follia, di una realtà caotica e schizzata (e qui la colonna sonora ci mette, alla grande, del suo), senza senso e apparentemente priva di un filo logico.
Dall’altro il variegato affresco di un’umanità, e di una società, tutt’altro che idilliache, sospese come sono tra leggende metropolitane, insoddisfazioni, psicosi, sogni destinati a rimanere tali e fragilità umane. Ecco allora il mega condominio che fa da sfondo e che ospita la vicenda, con i suoi pianerottoli esterni infiniti e tutti uguali (non a caso luogo dell’inseguimento, sequenza chiave dell’intreccio). Il gusto, meglio il bisogno, del racconto. La corruzione di istituzioni che tutto dovrebbero essere tranne che corrotte. La precarietà del lavoro femminile. La flebile speranza di un attimo di notorietà che può arrivare solo dalla televisione. Il fantasma aleggiante del serial killer. E la netta distinzione in classi sociali, ricchi e poveri, piani alti e piani bassi. Rettori che vanno avanti a tangenti e poveracci che tirano a campare sottoterra, fra tubi e cunicoli. Ovvero il grottesco, in commedia, elevato a specchio della realtà.
Già. Ma allora, alla fine, quello che “non morde” chi è: il cane o l’uomo?