La follia. Ha affascinato il teatro di tutti i tempi. Anche gli stessi eroi greci, tra miti e oracoli, spesso uscivano di testa

(di Andrea Bisicchia)Ci siamo occupati, sulle pagine di questo giornale, di “I greci e le passioni”. Con “I greci e la follia” continuiamo le nostre recensioni dell’importante trittico, di Giulio Guidorizzi, edito da Cortina che si conclude con “I greci e il sogno”.
Con questo volume, il noto grecista ci introduce a un tema che ha coinvolto le drammaturgie di tutti i tempi, essendo i disturbi mentali, che stanno a base della nostra psiche, materia a lungo trattata sui palcoscenici di tutto il mondo, a cominciare da quelli greci. L’autore ci ha riportato alle loro origini, a quelle fonti nascoste che appartenevano agli eroi dell’antichità, assorbiti dalle loro gesta che spesso li facevano andare fuori di testa. Erano i tempi in cui era stato possibile stabilire un nesso tra follia e mito, tra follia e ritualità, tra follia oracolare e follia profetica, quella, per esempio, dell’Oracolo di Delfi, della Pizia, che toccava ai profeti interpretare, con i loro enigmi.
Alle origini, si credeva che la follia facesse parte della “possessione”, come dimostrano le storie di Oreste, Aiace, Eracle, Fedra, o che fosse causata da una punizione divina, con cui venivano perseguitati gli eroi. C’è da dire che a essere posseduti fossero stati non solo i tiranni, ma anche i poeti che chiedevano l’aiuto degli dei per le loro composizioni, vedi “Cantami, o diva, del Pelide Achille l’ira funesta”.
Dovremmo, a questo punto, chiederci se esistesse, presso i greci, un solco tra follia e malattia mentale, tra follia e irrazionale, e capire fino a che punto le alterazioni della mente potessero essere soltanto opera degli dei, convinti come erano che la divinazione fosse una forma di conoscenza. Non per nulla, la sapienza greca, su cui aveva lavorato molto Giorgio Colli, ebbe origini oscure, dato che i sapienti, come osserva lo stesso Guidorizzi, soprattutto quelli del tardo arcaismo, “praticavano forme non completamente razionali del pensiero”, che generavano la nascita di procedimenti simbolici e allegorici, ai quali ha fatto spesso ricorso l’ermeneutica recente. È chiaro che in quell’epoca, contrassegnata dalle forme potenti del mito, la follia diventava un vero e proprio assillo, essendo ritenuta una devianza dello spirito, tanto che razionalità e irrazionalità finivano per coesistere, anche perché le pulsioni contenevano un forte desiderio di conoscenza: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.
Guidorizzi, nel suo lungo excursus, parte da Omero, da come egli costruisse la psicologia e gli stati emotivi dei suoi personaggi, oltre che dalla sua capacità di distinguere la mente (noùs) dalla psiche, gli impulsi interni da quelli esterni che avevano in moltissimi casi il sopravvento. Inoltre Omero sapeva ben distinguere le passioni forti, come l’ira, lo sdegno, lo strazio, dalle passioni deboli, quelle che appartenevano agli istinti o all’energia incontenibile.
Guidorizzi sostiene che fu proprio Omero l’inventore del flusso di coscienza, grazie al quale le emozioni, i pensieri, si succedevano attraverso tormenti interiori e, nello stesso tempo, attraverso eccessi di energia (ménos) che producevano sopraeccitamenti, accompagnati dalla rabbia guerriera e da azioni sconsiderate che coinvolgevano più la sfera fisiologica, quella del corpo, per intenderci, che quella della mente. Eppure, a ben guardare, la psicologia e persino le neuroscienze ricercano le loro origini, sia al tempo di Omero, che a quello dei grandi tragici greci, quando lo smarrimento mentale (Ate), generava l’ira funesta di Achille, di Oreste, di Aiace, di Eracle, causata dalla scissione dell’io, che però doveva essere governata, come era riuscito a fare Ulisse.
Alla fine arrivò Ippocrate (460 a. C.) il padre della medicina scientifica, che tolse agli dei il monopolio della follia, dimostrando che non si trattava di “malattia sacra”, bensì di una vera e propria patologia che andava curata perché, in essa, era ben visibile l’estremo confine della natura umana. Ippocrate aprì la strada che portò all’“Età dell’inconscio”, quella esplorata, in tempi recenti, dal Premio Nobel Erich R. Kandel, che si può leggere nell’edizione Cortina.

“I GRECI E LA FOLLIA” di Giulio Guidorizzi, Editore Cortina 2009, pp. 226