(di Andrea Bisicchia) Esiste il Paradiso della tecnica, più volte evocato da Emanuele Severino, ed esiste il Paradiso del capitalismo globale, quello che continua a mentire e che ha scelto il mercato e non la tecnica per raggiungere il primato, anche se il primo non può esistere, nelle sue forme cosmopolite, senza l’intervento della seconda.
Slavoj Zizek, nel volume “Problemi in Paradiso, il comunismo dopo la fine della storia”, Ed. Ponte alle Grazie, facendo ricorso a un saggismo apparentemente poco accademico, grazie a “intervalli” costruiti ad hoc, con storielle, aneddoti e persino barzellette, ci introduce in una serie infinita di problematiche che attraversano il moderno e il post moderno con una lucidità che non può non coinvolgere la riflessione del lettore, sballottato da un tema all’altro, ma sempre coinvolto, perché l’autore ha la capacità di farlo sentire protagonista. Quali sono i temi che tratta? L’estremo sviluppo del capitalismo, l’alta produttività, fonte paradossalmente della disoccupazione, il rapporto tra crimine e furto, tra l’universo simbolico dei miti e il conseguente rinnegamento, tra mercificazione di massa e una manipolazione della stessa, tra una società ideale e una ributtante.
Ci si trova dinanzi alla fine della Storia come aveva previsto Fukujama? O dinnanzi a una storicità sospesa, dove le verità simboliche più profonde vengono percepite come ostacolo allo sviluppo? Zizek è un filosofo che non disdegna l’uso di altre discipline, come la sociologia o l’economia, tanto che, nel suo deambulare da un argomento all’altro, come fa Alberto Arbasino quando scrive di letteratura e di musica, si chiede e ci chiede se esista una giustizia sociale, se la crisi economica sia il risultato di speculazioni finanziarie premeditate e se sia più giusto fare circolare il denaro o lasciarlo mummificare. In tutte le crisi, non è certo il denaro che perde valore, bensì la merce, con le conseguenti follie feticistiche.
Le difficoltà che contraddistinguono il capitalismo globale sono dovute all’incapacità o alla non volontà di capire che in una “totalità sociale” i debiti sono irrilevanti, dal momento che l’umanità, nel suo insieme, può soltanto consumare ciò che produce; pertanto la ridistribuzione della merce, nell’ottica del consumo, potrebbe coincidere con la stessa ridistribuzione della ricchezza. Si consuma semplicemente quanto si produce, l’eccesso va al macero, come va al macero la ricchezza che non circola, nel senso che è trattenuta da pochi, producendo l’imbarazzante fallimento delle nazioni. Gli economisti, in coro, hanno fiducia nella ridistribuzione della ricchezza per abbattere il mostro capitalistico, i cui media si danno da fare perché cada su di noi la causa dei problemi che ci affliggono. Come risolverli? Piketty sostiene che non esistono alternative al capitalismo, spetta alla politica costruire una giustizia egualitaria, Sloterdiik aggiunge che il sistema capitalistico va conservato e che la disuguaglianza va mitigata con la distribuzione delle risorse e con “la politica del dono”, ovvero con contributi volontari dei ricchi. Zizek propone il ritorno ai “commons”, ovvero a dei meccanismi efficienti per la gestione dei beni comuni, oggetto di studio del premio Nobel Elinor Ostrom, concepiti come spazio universale dell’umanità, dal quale nessuno dovrebbe essere escluso. Mentre gli economisti si dilettano a cercare, teoricamente, delle soluzioni, i politici, più attenti alla prassi, non riescono ad arginare i gravi buchi economici che, negli anni, hanno saputo accumulare.
Slavoj Zizek, “Problemi in Paradiso, il comunismo dopo la fine della storia”, Ed. Ponte alle Grazie, 2015, pp. 380, € 16