(di Marisa Marzelli) Tutti pazzi per La la land. Deliziati dal film-fenomeno di stagione. Sette candidature ai Golden Globes e en plein; tre premi dei Critici statunitensi; quattro Satellite Awards (sempre assegnati da Critici); premio del pubblico al Festival di Toronto; undici nomination ai Bafta (gli Oscar del cinema britannico); trionfatore al riconoscimento dell’Associazione dei produttori e ben 14 candidature agli Oscar. Per adesso, perché in attesa della Notte delle Stelle – quando si tireranno le somme delle statuette conquistate – di sicuro La la land avrà vinto ancora qualcosa.14 nomination, come Titanic (un monumento del cinema, James Cameron rischiò reputazione e patrimonio perché l’impresa era ciclopica) ed Eva contro Eva, uno dei capisaldi nella storia del cinema a stelle e strisce.
Al confronto di questi mostri sacri, La la land è carino, nostalgico senza troppa amarezza, non particolarmente profondo né incentrato su argomenti spinosi, sgradevoli, conturbanti che possano inquietare la società odierna con tutti i suoi problemi. Interpretato diligentemente, senza far urlare al miracolo, dai lanciatissimi Emma Stone e Ryan Gosling (quest’ultimo nemmeno tanto in parte).
Ma si possono avanzare perplessità davanti a tanto omologato entusiasmo di critica e pubblico? O piuttosto:mi è sfuggito che davvero La la land è un capolavoro?
Riflettendoci, resto del mio parere.È un onesto film piacevole, con pregi e difetti. A fare la differenza è tutto il battage mediatico ricamatogli attorno, che sta espandendo il consenso in cerchi sempre più ampi. Da Oscar è piuttosto la meticolosa edificazione del gradimento, per valorizzare il “prodotto”.
– L’autore. Damien Chazelle era sino all’altro ieri un signor nessuno; 31enne talentuoso, ama la musica e viene dal cinema indipendente. Nel 2015 ha vinto a sorpresa tre Oscar – nemmeno tanto importanti, due tecnici (miglior montaggio e sonoro) e quello per il migliore attore non protagonista, andato a un caratterista veterano e meritevole come J.K. Simmons, del quale però sino ad allora nessuno ricordava il nome –. Dopo Whiplash la grande produzione ha messo gli occhi addosso a Chazelle e l’ha inglobato, facendone un emblema del: se sei bravo, sfondi. Ma Whiplash aveva una carica potente, La la land è molto più edulcorato e zuccheroso. E ciò lascia presumere che il giovane regista sia stato addomesticato.
– La storia d’amore. Semplice e da un evergreen. Riassumibile nell’eterna variazione su: ragazzo-incontra-ragazza.
– Il discorso cinematografico. Il tentativo, che appare riuscito, di rinverdire i fasti di un genere glorioso e tutto americano come il musical, oggi però finito tra la memorabilia di Hollywood; quindi ottimo per un recupero nostalgico e vintage, con quella patina di citazione cinefila che fa sentire lo spettatore colto e raffinato.
– La strategia di promozione. La corsa di un film vincente agli Oscar parte da lontano. Da tre anni di fila passa dalla Mostra di Venezia (vuol dire che il Festival in Laguna gode ancora di alto prestigio) e infatti Gravity, Birdman eSpotlight erano stati acclamati a Venezia, giungendo alle nomination già con credenziali eccellenti. E puntualmente vincenti.
– Gli incassi. La grande industria hollywoodiana non è insensibile ai buoni affari. Anzi, questi prevalgono sul lato artistico. Costato 30 milioni di dollari, La la land ha già quintuplicato l’investimento (al momento siamo sui 140 milioni d’incassi e il probabile effetto Oscar rilancerà la spinta a vederlo).
Ci sarebbero altre ragioni per dire che La la Land sembra predestinato agli Oscar. Mi limito a dire (il paragone è meno forzato di quanto sembri) che le élites hollywoodiane, non diversamente da quelle politiche, perseguono i loro obiettivi di consenso pilotato. In politica sta andando male (Trump, Brexit, ecc.) ma al cinema establishment e spettatori sembrano non essersi ancora accorti che il vento sta cambiando.
Per finire, in pochi hanno notato che, a livello di plot, La la land ricalca quasi alla lettera l’ultimo film di Woody Allen Café Society, sebbene con più musica e molte meno battute intelligenti. Anche nel film di Allen ci sono Los Angeles con la sua fabbrica dei sogni, il filo conduttore ragazzo-incontra-ragazza e la ricerca del successo che deve pagare come tributo la rinuncia all’amore. Ma con un’essenzialità, un’ironia, una mesta consapevolezza di “così va il mondo” che sfuggono alle complicate coreografie (i balletti in piano-sequenza appesantiscono parecchio la leggerezza) di La la land.