(di Andrea Bisicchia) Senza le grandi narrazioni mitologiche non sarebbero nati i poemi d’occidente e d’oriente che hanno dato l’avvio all’epica, alla lirica, alla tragedia. I miti sono fondatori di civiltà e portatori di un materiale immenso, essendo una forma di laboratorio permanente per chi, modificandoli, li ha immessi in un circuito che non ha mai fine. I protagonisti dei miti, nel tempo, hanno subìto moltissime trasformazioni, ovvero delle “metamorfosi” che costituiscono le basi dell’avvicendamento, del diventare altro, del divenire delle loro storie.
L’editore Adelphi, ha pubblicato “Le metamorfosi” di Antonino Liberale, vissuto tra la seconda metà del II e l’inizio del III sec. d. C. sotto le dinastie degli Antonini e dei Severi. Il volume, curato da Tommaso Braccini e Sonia Macrì, è dedicato ad un maestro della filologia, Maurizio Bettini, tanto da avvertirne il metodo di lavoro, come si evince dall’apparato di note, le cui pagine, 277, sono di gran lunga superiori alle 72 che contengono le storie delle metamorfosi di personaggi, a dire il vero, poco noti, ma che ben si connettono con quelli raccontati da due eccellenti mitografi come Apollodoro e Igino, prima che Ovidio tramandasse, alla cultura europea, la più grande raccolta di miti dell’antichità.
Sonia Macrì ci ricorda come fosse stato proprio Ovidio, fra i primi, a usare la parola greca “metamorfosis” e a raggruppare i miti “all’insegna della trasformazione delle forme” generando “un numero pressoché illimitato di modalità di cambiamento”. Perché, allora, si rimane affascinati da questi racconti? Non certo e solo per le loro storie, spesso cruente, ma anche per l’uso di una narrazione, non mimetica, che procede con una forte immaginazione e che rende il mondo fantastico sempre più accessibile alla nostra comprensione. Sono storie che appartengono a una memoria ancestrale che l’attraversano culturalmente lungo i secoli per essere depositate in epoche che, a loro volta, le riscoprono per andare alla ricerca dei propri archetipi. Questa memoria culturale, evolvendosi nel tempo, si metamorfizza anch’essa, fino a giungere ad uno dei capolavori della narrativa contemporanea: “Le metamorfosi” di Kafka, il quale ci ha insegnato come, in un corpo bestiale, possano riscontrarsi sentimenti umani, i medesimi che caratterizzavano i “porci” di Circe.
Di Antonino Liberale, si possono leggere ben 41 metamorfosi, che raccontano momenti di alterazioni, come quella di Ctesilla, trasformata in colomba, dopo una tormentata storia d’amore e dopo la sua morte avvenuta in seguito a un parto. Più drammatica è la storia delle Meleagridi, perché comporta la guerra tra Cureti e Calidoni, durante la quale, muore Meleagro, pianto ininterrottamente dalle sorelle tanto che Artemide, mossa a pietà, le trasformerà in uccelli.
Accade che, in parecchi casi, non soltanto si assiste alla trasformazione delle forme, ma anche dei caratteri, come avviene nel mito di Ierace che Poseidone, geloso di Demetra, a cui Ierace aveva dedicato parecchi templi, trasformò in uccello, cambiandone il carattere, tanto che il più amato degli uomini fu il più odiato degli uccelli. Anche Perifante fu molto amato dagli uomini, solo che per dispetto di Zeus fu trasformato in aquila. Ad avere la meglio, nelle metamorfosi raccontate da Liberale, sono proprio gli uccelli, sia volatili che lacustri, come Cicno. Ma più noto è il mito di Smirna, innamorata del proprio padre, con cui giacerà, grazie a uno stratagemma, e che fu trasformata in albero, chiamato Mirra, a cui si ispira la tragedia omonima di Alfieri.
Le storie sono molto brevi e si leggono con una certa voluttà, ma chi voglia addentrarsi nella conoscenza delle loro origini, non può che leggere attentamente le Note, dalle quali si ricava un diverso e più proficuo allettamento.
Antonino Liberale, “Le metamorfosi”, Adelphi Editore 2018, pp 416, € 18.