La nonchalance di Woody Allen. Sembra facile. Ma quanta sapienza in quelle sue inquadrature semplici ed essenziali

woody 3(di Marisa Marzelli) 80 anni e una cinquantina di pellicole all’attivo. Il compleanno tondo l’ha compiuto il 1° dicembre, mentre il nuovo film di Woody Allen Irrational Man arriva nelle sale dopo essere stato presentato fuori concorso al Festival di Cannes. Riverito (a parole) da tutti, il cinema di Allen o lo si ama o lo si detesta, senza mezze misure. I detrattori lo considerano in generale ripetitivo, semplicistico, furbo nell’utilizzare sempre gli attori più in voga al momento. In apparenza è difficile smentirli, sennonché sono troppo sbrigativi, non hanno la pazienza di analizzare e godersi i dettagli, rimuginati e riproposti dall’autore di volta in volta con leggere varianti, che sono poi l’elaborazione nel tempo dei suoi pensieri.
Va ricordato subito che Woody Allen è più grande come sceneggiatore che come regista. Le sue storie sono tutte perfettamente concatenate e coerenti, anche quando giocano sui paradossi; le battute fulminanti. Le regie sono apparentemente distratte, possono apparire persino povere. Ma ormai lui ha acquisito un tale mestiere che per ogni inquadratura conosce già e applica la scelta essenziale e più efficace. Non perde tempo a cercare soluzioni estetizzanti. E, del resto, per scrivere e dirigere un film all’anno bisogna andare veloci. Dai divi di cui si circonda (soprattutto ora che ha smesso di fare egli stesso l’attore) riesce sempre a trarre il meglio, spesso utilizzandoli in ruoli per loro inabituali. Le tematiche sono limitate e ricorrenti – anche se si tratta del senso della vita, argomento non certo di corto respiro – ma con tante variazioni e, a seconda del tono scelto, si spazia dalla commedia sentimentale al thriller, al dramma.
Irrational Man è una commedia che si colora di noir ed è, nel plot e nella morale della favola, esattamente speculare a Match Point, uno dei suoi titoli migliori. Match Point (2005) raccontava di un arrampicatore sociale che commette un delitto per trarne profitto, e gli va bene. Irrational Man racconta di un professore in crisi esistenziale che commette un delitto perché ritiene utile alla società liberarla da un individuo indegno, e gli va male.
Tutto qui. Esposto con quella leggerezza di tocco e apparente distacco che sono diventati la cifra stilistica alleniana. Un depresso e alcolista insegnante di filosofia (Joaquin Phoenix, imbolsito e perfetto nel ruolo) si trasferisce in una piccola università, preceduto dalla fama di maudit e gran seduttore, e manda in fibrillazione – chi per paura della concorrenza, chi perché pregusta avventure piccanti – uomini e donne. Già dalla prima lezione il professore si mostra scettico sul valore della materia che insegna. Ci mette poco per ritrovarsi nel letto di una collega in cerca di fuga da un matrimonio insoddisfacente (Parker Posey) e in quello di una studentessa modello (Emma Stone) di cui l’uomo s’innamora. La svolta avviene quando Phoenix e la Stone ascoltano casualmente in un bar la triste storia di una donna, vittima di un giudice corrotto. Qui scatta la scintilla e l’insegnante stufo di vivere (per dimostrarlo gioca alla roulette russa) trova un nuovo scopo per cui battersi. Ucciderà il giudice e libererà il mondo da un individuo dannoso. Sarà il suo modo di “fare del bene”. Progettare e realizzare il delitto non si rivela troppo complicato. Ma i guai verranno dopo.
Riflettendo sulla casualità che domina la vita, sulle conseguenze delle proprie azioni, sul significato di giustizia, sull’attrazione femminile per gli uomini affascinanti ma tormentati che pensano di poter salvare, sull’ambiente pettegolo di una piccola comunità intellettuale, ancora una volta Woody Allen fa sorridere e immediatamente dopo spezza l’incanto del tout va bien.