La psicoanalisi come processo di rinascita. Un viaggio nella psiche. Dal buio alla luce, dall’Inferno a “riveder le stelle”

(di Andrea Bisicchia) Nina Coltart (1927-1997) è stata una psicoanalista londinese, di cui l’editore Cortina ha pubblicato: “Pensare l’impensabile”, ritenuto un classico della psicoanalisi inglese, nel quale l’autrice evidenzia il suo metodo esplorativo all’interno del mondo interiore che assume dei connotati precisi quando lo indirizza verso pazienti particolari come gli anziani, le persone che si sono chiuse in un impenetrabile silenzio, i travestiti.
A dire il vero, sembra che l’approccio non sia molto diverso dall’analisi clinica tradizionale, in verità l’autrice compie dei veri e propri viaggi nella psiche che le permettono il passaggio dalla oscurità alla luce, un po’ come quelli di Dante che, dal buio dell’Inferno, torna a “riveder le stelle”. Nina Coltart era convinta che la psicoanalisi non dovesse nulla alla filosofia, benché avesse a che fare col problema dell’identità (chi sono io?) e delle “fantasie” che stanno dietro l’Es, ben diverso dall’Io, vero e proprio mediatore tra passioni vere e fantasie indisciplinate. Inoltre, era convinta che la scienza analitica non potesse avere alcun rapporto con l’Etica, né col pensiero inteso come portatore di concetti. Anzi, a suo avviso, proprio quando il pensiero si ammala, entra in ballo la psicoanalisi col compito di cercare le cause delle oscure malattie che fanno pensare all’“impensabile”.
Nel suo procedere, la Coltart parte da una poesia di Yeats (Il secondo avvento) e, in particolare, dagli ultimi due versi, dove il poeta immagina che “una rozza bestia / giunta alla fine la sua ora / arranca verso Betlemme per venire alla luce”. Si tratta, per la Coltart, di una metafora accattivante per capire quanto “la rozza bestia”, che è in noi, farnetichi per raggiungere l’illuminazione che non è proprio quella buddista, come si evince da un capitolo del libro “La pratica psicoanalitica e Buddismo”, dove appare evidente la diversità degli ordini categoriali, benché le sedute di meditazione, nella pratica buddista, abbiano qualcosa in comune con quelle della psicoanalisi, mirando, entrambe, alla conoscenza di sé, attraverso il nutrimento che avviene grazie a una particolare energia che le accomuna.
L’autrice sostiene che il lavoro di una psicoanalista potrebbe essere paragonato a quello di un funambolo che ricerca un difficile equilibrio quando utilizza l’asta per mantenerlo, a differenza dell’analista, per il quale la metafora dell’asta è concepita come metodo interpretativo di quel mistero apparentemente “impensabile”, ma di cui si viene a conoscenza quando avviene il passaggio verso il pensabile.
L’analisi è, in fondo, un processo di nascita e rinascita molto lento, che avviene, spesso, in maniera dolorosa, per il quale, a volte, serve un atto di fede o una forte intuizione. Del resto, Kant diceva : “I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche”. Molte volte i nostri sentimenti e, soprattutto, le nostre passioni, quando si ammalano, appartengono al dominio dell’impensabile, compito dell’analista è renderle pensabili.

Nina Coltart, “Pensare l’impensabile”, Cortina Editore 2017, pp 200, € 24