La religiosità, mezzo di conoscenza della realtà. Come per i greci antichi. In nome della giustizia, della verità e dell’onore

(di Andrea Bisicchia) In un momento in cui le grandi religioni sono attraversate da crisi e ripensamenti, leggere “Teofania” di Walter F. Otto, edito da Adelphi, è un modo di partire da molto lontano per capire il tempo presente. Per Otto, la religione è uno dei massimi organismi dell’autoregolazione della specie ed è, pertanto, una necessità per chi sceglie un contatto col divino, al di là delle religioni monoteiste, accreditate dalla storia delle religioni.
Otto è uno studioso degli dèi antichi, dei miti che li hanno raccontati, della religione greca che egli difende dallo storicismo, “asservito al darwinismo”, il cui compito è stato quello di dimostrare come le divinità greche fossero state, in sostanza, delle potenze vuote, spiritualmente inconsistenti, in quanto non appartenenti ai testi rivelati. Tesi non accettata da Otto perché, questo tipo di storiografia, non si è curata della vera essenza della religione greca che, a suo avviso, va rintracciata nei culti e nelle rappresentazioni religiose, essendo, queste, manifestazione del divino, quello esaltato da Omero e dai tragici greci.
Quel tipo di religiosità non era da intendere come puro atto fideistico, bensì come un mezzo di conoscenza che derivava, non tanto da “misteri sovrasensibili”, quanto da realtà intellegibili.
Un’altra accusa che non accettava riguardava l’idea di politeismo, a causa della molteplicità di dèi che troviamo nella “Teofania” di Esiodo, il quale, nel suo poema, ci racconta ben tre generazioni di divinità, accompagnandole con storie di credenze antiche, con la nascita dell’universo, con la sovranità definitiva di Zeus su tutti gli dèi olimpici, a ciascuno dei quali veniva affidato un compito che, spesso, li portava a schierarsi a vantaggio di un eroe piuttosto che di un altro.
Otto non accettava neanche l’idea antropomorfa del divino, perché la forma umana non ne è un abbassamento, ma un modo di protendersi verso di esso, in cerca di protezione quando si sente in colpa, ovvero quando non si attiene ai principi morali che, per i greci, erano i veri comandamenti, essendo, gli dèi, personificazione dei princìpi assoluti, come la giustizia, la verità, l’onore.
Otto non è d’accordo con quegli psicologi, i quali sostengono che i greci non avessero ancora scoperto la profondità della vita spirituale, anzi era convinto che essi sapessero come avvicinarsi alla comprensione del divino, nella sua forma vitale che metteva in luce in che modo la religione greca utilizzasse il mito come forma di comunicazione. Per Otto, pertanto, i miti non sono racconti, bensì “rivelazioni ontologiche”, espressioni dello spirito, tanto che la loro molteplicità era da intendere come semplice diversificazione del divino. Non è, dunque, vero, che gli dèi greci non abbiano nulla da dirci e non è giusto accostarli, come fecero i Padri della chiesa, ai culti pagani. Al contrario della psicologia, fu la psicoanalisi a scoprire la loro profondità, ricorrendo ai miti greci per rivelare i problemi della nostra psiche ammalata.
Il mito diventa Verbum, come dire che si rivela proprio come nella religione cristiana. In questo modo, gli dèi greci continuano a parlare con gli uomini di oggi, manifestandosi nel loro inconscio. Per i greci, nulla accadeva senza l’intervento degli dèi, persino i poeti chiedevano alla Musa di cantare per loro che si limitavano all’ascolto e a trascrivere i versi: “cantami o diva…”, come dire che l’Essere, nel mondo, si compie nel canto, il cui spirito annuncia la natura degli dèi, che sono, quindi, onnipresenti e, forse, onnipotenti.

Walter F. Otto, “TEOFANIA”, Adelphi 2021, pp. 184, € 15.
www.adelphi.it