La rivoluzione di Grassi/Vilar. E nel dopoguerra il teatro divenne servizio pubblico, strumento di elevazione sociale

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(di Andrea Bisicchia) È vero che in nome del popolo si compiono, spesso, delle nefandezze, ma senza questo interlocutore, tutte le economie, compresa quella culturale, andrebbero a picco. Ogni uomo di potere, persino un piccolo rappresentante politico, si appella al fantomatico popolo, per giustificare le proprie magagne, se non le proprie scelleratezze, specie se fa parte di una classe politica di basso rango.
Uomini di teatro come Paolo Grassi e Jean Vilar hanno fatto appello al popolo, però, in maniera diversa, per coinvolgerlo in un’idea culturale, inventando il “Teatro Popolare” e il “Teatro come servizio pubblico”, ponendo le basi, non solo della stabilità, ma anche di una diversa maniera di concepire il teatro, rispetto a quello proposto e consumato dalla borghesia del primo Novecento.
Valentina Garavaglia, in un volume ben documentato, con un ricco apparato bibliografico, si è posta il problema di come Francia e Italia, proprio nel 1947, abbiano iniziato insieme una storia teatrale che è diventata,non solo metodo, ma anche esempio, per chi ha fatto, del teatro, la propria professione: “Paolo Grassi e Jean Vilar. Due esperienze in Europa tra economia e conoscenza”; Ledizioni, offre al lettore la possibilità di imbattersi in due esperienze irripetibili nei processi organizzativi e creativi della scena europea, in due “profeti”, come li definisce Maurizio Porro nella prefazione. Vilar, nel 1947, fondò il Festival d’Avignone e divenne, quattro anni dopo, direttore del Théâtre Nazional Populaire, Paolo Grassi, insieme a Giorgio Strehler, fondò il Piccolo Teatro, entrambi ebbero la stessa visione, entrambi ritennero che la conoscenza fosse un bene comune, entrambi teorizzarono la funzione del teatro come servizio pubblico, per andare incontro alla “formazione” di un popolo e di una nazione dopo il disastro bellico, un popolo da non utilizzare demagogicamente, magari andandolo a cercare col decentramento. Intrapresero delle vere e proprie battaglie contro quei politici che non digerivano di acculturare i propri elettori.
Per loro,il teatro doveva essere concepito come forma di conoscenza, oltre che di coscienza. Valentina Garavaglia percorre i primi anni della loro esperienza rivoluzionaria: quelli del “servizio pubblico”, inteso come necessità collettiva, come “processo” e non come “prodotto”.
Grassi non smise di scontrarsi con gli “improvvisatori”, specie durante il ’68, quando si scagliò contro il malcostume delle sovvenzioni che venivano accordate senza selezionare il merito, a prescindere, quindi, dal carattere artistico delle messinscene, non risparmiò le finte avanguardie, definendole “retroguardie”, né le facili gestioni di certi assessori che teorizzavano la mercificazione del prodotto teatrale.
Sia lui che Vilar furono accusati, dalla destra, di utilizzare soldi pubblici a scopi politici. In verità, entrambi ritenevano la mente umana una risorsa produttiva, tanto da contrapporre l’economia della conoscenza a quella aziendale. Trattandosi di un prodotto immateriale, l’allestimento apparteneva di diritto all’impresa culturale, ben diversa dall’impresa che pensa soltanto al profitto.
Valentina Garavaglia, “Paolo Grassi e Jean Vilar”-Due esperienze in Europa tra economia e conoscenza”, Ed. Ledizioni – 2013 – pp 100 – Euro 14.