La saga dei Lehman Brothers, l’ultima sfida di Luca Ronconi, torna al Piccolo Teatro Grassi dal 12 al 31 maggio

collage ronconi lehmanMILANO, giovedì 23 aprile  ●  Dopo il tutto esaurito del debutto, torna al Teatro Grassi, dal 12 al 31 maggio, la saga dei fondatori di Lehman Brothers, lo spettacolo che ha coronato i sedici anni di lavoro di Luca Ronconi al Piccolo. “Lehman Trilogy” non è solo l’ultimo capolavoro di Ronconi, è il simbolo perfetto della sfida, costante nella sua ricerca, su testi, teatrali o letterari, che stimolassero il rapporto fra la parola scritta e la parola fatta vivere in palcoscenico.
“Lehman Trilogy” è lo spettacolo da Ronconi forse più “temuto” e alla fine più amato, vissuto come impegno arduo e appassionato, in simbiosi con coloro che Ronconi ringraziò, la vigilia di andare in scena, come suoi “adorati artisti, tecnici e collaboratori”.
L’identificazione della vita con il teatro non è mai stata così profonda come nel pensiero e nel lavoro quotidiano di Luca Ronconi. Riproporre, ora, “Lehman Trilogy” non è un semplice omaggio: è la scelta che Ronconi avrebbe sicuramente approvato. Un modo per averlo ancora vivo in mezzo a noi attraverso i suoi attori e il suo teatro.
In occasione della prima, alla fine di gennaio, scrivemmo, tra l’altro:
“…l’avventura dei fratelli Lehman, ebrei di Germania, emigrati dalla Baviera all’Alabama ‘per far fortuna in America’… Più una ballata che una saga (parola di Ronconi), che ha all’interno, in un simbolico blues, una più sottile parabola: dalla benedizione dei soldi alla maledizione dell’accumulo. Dalla laboriosa ingenuità degli inizi, come commercianti di cotone grezzo, alla furbizia di una trionfante speculazione. Dalla purezza alla dannazione. Passando indenni attraverso il disastro di Wall Street, nel ’29, con quel lungo corteo di chi in Borsa perse tutto e finì suicida, fino ad arrivare a quel fatidico crack del 15 settembre del 2008, dal quale i Lehman Brothers, questa volta, non si salvarono, trascinando nel baratro le Borse eropee, e l’economia mondiale. Già perché i Lehman furono protagonisti di centosessant’anni di capitalismo americano, divenendo, da modesti commercianti di cotone, mediatori di successo, spregiudicati investitori di denaro, abili protagonisti della Borsa, insuperati maestri dell’alta finanza, esperti in marketing, banchieri accreditati come rappresentanti di una della quattro più importanti banche d’affari americane”…
… “Ebbene, maneggiando questa materia, ricostruita da Stefano Massini, la regia di Ronconi, senza nulla togliere alla bellezza del testo, l’ha a sua volta ricostruita dandole nuova vita, pulsioni, pensieri (attenzione, di azione non si parla) grazie a dei meravigliosi protagonisti, che sostengono la difficile impalcatura di questo teatro di parola, a cominciare dai tre pionieri Lehman: Henry, l’anziano, il capo, autoritario e decisionista (un acuto sornione ironico Massimo De Francovich); Emanuel, pragmatico esecutore (un duro ma cedevole Fabrizio Gifuni); Mayer, modesto ma fine diplomatico e cocciuto realizzatore (un esaltante Massimo Popolizio). E poi arriva la seconda generazione dei Lehman: Philip, figlio di Emanuel, il massimo artefice delle fortune di famiglia (un Paolo Pierobon in stato di grazia), e il mistico politico Herbert, figlio di Mayer (Roberto Zibetti). E, infine, Robert, fragile figlio di Philip (Fausto Cabra), che porta a conclusione la ballata ronconiana (a tempo di twist): la fatale bancarotta è all’orizzonte… Immensi applausi alla prima per tutti”… (P.A.P.)

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