La scomparsa del giornalista milanese, Carlo Maria Pensa, drammaturgo e maestro della critica teatrale

pensaMILANO, domenica 21 dicembre  ●
(di Paolo A. Paganini) Anche Carlo Maria Pensa se n’è andato. È mancato ieri mattina in un ospedale della Val Seriana, dov’era stato ricoverato.
La critica teatrale milanese ha perso, in questi ultimi anni, i suoi più acuti e appassionati militanti, grandi vecchi d’inesausta illuminata competenza, da Ugo Ronfani a Gastone Geron, da Franco Quadri a Domenico Rigotti. Ma in verità tutto il teatro italiano si è tragicamente impoverito – sempre più – della sua indispensabile coscienza critica, dei suoi illuminati cantori. Carlo Maria Pensa era del teatro, per il teatro, un Maestro.
Laureato in Lettere, Scienze politiche e Filosofia all’Università di Pavia, di famiglia milanese, nato a Lecco nel 1921, fin da giovanissimo iniziò la sua lunga carriera giornalistica prima alla “Provincia” di Como, poi al “Corriere Lombardo”. E, via via, il medagliere delle sue esperienze giornalistiche si arricchì con la dedizione di una inesausta laboriosità in un crescendo di impegni: a “Gente”, alla Rai (responsabile dei settori Prosa e Lirica), a “Epoca” (caporedattore), a “Bell’Italia” (direttore), e poi sul campo, aulico collaboratore e critico teatrale per molti anni a “Famiglia Cristiana” e poi a “Libero”, fino a due anni fa.
Ma, insieme con l’attività giornalistica, Carlo Maria, nel suo onesto ed esemplare amore per il teatro, volle conoscere anche l’altra parte della barricata, come autore drammatico di successo, in opere umanissime, pietose, coraggiose, talvolta provocatorie, ora ironiche ora dissacranti (“Il fratello”, “I falsi”, “La figlia”, “Il topo”, “La chitarra di Bed”, “Riconoscenti posero” – Premio Riccione –, “Gli altri ci uccidono” – altro Premio Riccione –, “La piscina nel cortile” – Premio Flaiano – “LSD Lei Scusi Divorzierebbe?”. E, al Teatro Gerolamo, in dialetto milanese, quasi sempre per Piero Mazzarella: “I ligera”, “I stemegna”, “I brandinej” I povercrist”).
Conobbi Carlo Maria, mezzo secolo fa, fin da quando lavorava a Epoca. Stringemmo subito un’amicizia forte, tenace, che poi, dagli anni Settanta, divenne un rituale di comunanze affettive in incontri conviviali (anche con l’adorata consorte, Angelica) e nella consuetudine delle sale teatrali. Nell’ambito di una fitta presenza di colleghi, Carlo Maria, dai modi gentili, forbito affabulatore di teatro e della cultura meneghina, si distingueva per i tratti gentili, e, soprattutto, per un aspetto forse unico nel vacuo chiacchiericcio dell’ambiente teatrale: in tanti anni di consuetudini amicali, non lo udii mai dir male di qualcuno, sparlare con supponenza di attori e colleghi. Per tutti aveva una parola buona. Aveva chiare e incrollabili certe regole antiche di solidarietà, di rispetto, di amore. Perché il teatro è il teatro. Ma la vera scena è in un’esistenza da galantuomini.
Il nostro cordoglio, anche a nome di tutta la redazione, alla famiglia, ai figli amatissimi, Ariel, Ippolita e Simone.