TORINO, mercoledì 15 marzo ► (di Carla Maria Casanova) È una grave, preoccupante avvisaglia. Di ritorno da Torino domenica sera, in treno, ho letto un appassionante libro di Skira sugli enigmi tuttora persistenti riguardo ai “Coniugi Arnolfini”, il celeberrimo dipinto di van Eyck. Chi sono in verità? Cosa vogliono rappresentare? È una celebrazione di vita e morte? L’impenetrabile faccia di lui, è quella di Giovanni Arnolfini o di un anonimo Arnoult fin, cioè Hernoul-le-Fin, vale a dire il “marito cornuto” per antonomasia?
Sulla vicenda mi son da tempo fatta anch’io una opinione, ma il punto non sta qui. Sta nella domanda che io, approdata a Milano, mi sono sentita rivolgermi: “Ma io, cosa sono andata a fare a Torino?”
La gravità sopra accennata sta nella risposta: sono andata alla prova generale di Manon Lescaut. Svanita, dimenticata, non registrato nulla. Ahi ahi.
Manon Lescaut, primo grande successo di Giacomo Puccini, non è la mia opera preferita, e fin qui si è capito. Però. Gran bella musica, un Intermezzo che tutti conoscono, e quelle quattro arie di universale gradimento:“Donna non vidi mai” (lui), “In quelle trine morbide” (lei), “No, pazzo son, guardate” (lui), “Sola perduta abbandonata” (lei) e il travolgente duetto “Tu,tu” (lui e lei). Grande repertorio. Però. Manon è una creatura perniciosa in confronto alla quale Carmen è santa Maria Goretti. Anche se sulle condotte dei personaggi del melodramma ci sarebbe molto da ridìre, Manon veramente esagera. Benissimo che vada a morire nel deserto dell’Arizona, dove non potrà più nuocere a nessuno, e quel povero inebetito Des Grieux forse si darà finalmente pace. L’unico personaggio sensato, per lo meno coerente a se stesso, è il vecchio cicisbeo Geronte. A che cosa siamo ridotti.
Lo spettacolo di Torino è una ripresa di quello prodotto dal Teatro Regio nel 2006 in occasione dei XX Giochi Olimpici Invernali con grandissimo sfarzo, tipo Turandot di Zeffirelli o Traviata della Cavani. Nella fattispecie, qui gli artefici sono Vittorio Borrelli regia, Thierry Flamand scene, Christian Gase costumi, Andrea Anfossi luci. L’imponenza delle scene ha generato cambi elaboratissimi che hanno preteso tre intervalli, da cui una durata totale dell’opera di tre ore e mezza. Sul podio c’è Gianandrea Noseda, direttore musicale del Teatro Regio, con lunga esperienza a San Pietroburgo. I protagonisti (diciottenne lei, dice il libretto, e lui studente) ci fanno pensare che, almeno lui, sia tremendamente fuori corso. È Gregory Kunde, più credibile quando veste i panni di Otello, anche se pure qui, quando implora il Comandante del veliero di accettarlo qual mozzo per seguire quella sgualdrina di Manon, il suo squillo ha un impeto così disperato che riesce a commuovere. Lei è Maria José Siri, una posata signora, si direbbe una mamma di famiglia, che mai si supporrebbe capace delle svergognate seduzioni di Manon. Carlo Lepore è perfetto nei panni di maturo dongiovanni (parliamo del personaggio). Lescaut, il pervertito fratello di Manon (che famiglia!) è Dalibor Genis, baritono slovacco di buona razza.
Signori, mi rendo conto che non è una recensione, ma è quanto, a stento, riesco a ricordare di questa Manon Lescaut, peraltro applauditissima. Ah, quei coniugi Arnolfini!
Al Teatro Regio di Torino. Repliche: giovedì 16; sabato 18; domenica 19; martedì 21; mercoledì 22; giovedì 23; domenica 26 marzo.