(di Andrea Bisicchia) La pubblicazione, per la prima volta, di tutte le lettere di Eleonora Duse, indirizzate a D’Annunzio, a cura di Franca Minnucci, edite da Bompiani, costituisce un evento editoriale, ma va considerato un apporto decisivo per comprendere quanto il Vate debba, teatralmente parlando, alla Divina, e quanto, entrambi, abbiano contribuito a rinnovare la scena europea di fine secolo, avendo, come compagni di strada, autori come Claudel, Ibsen, Strindberg, Wedekind, Hofmannsthal. Per una analisi storicizzabile delle lettere, credo che sia necessario capire quale fosse il repertorio che aveva fatto grande la Duse prima dell’incontro con D’Annunzio e quali altre attrici l’avessero preceduta.
La scena italiana vantava già una attrice “tragica” di livello internazionale, Adelaide Ristori, che fu anche ambasciatrice dell’Italia all’estero, e Giacinta Pezzana, esperta nel teatro naturalista, che fece esordire la Duse nel ruolo di prima attrice proprio in questo repertorio che la vedrà applaudita in tutte le capitali del mondo per il suo modo di recitare improntato al rapporto persona-personaggio e alla sua capacità di trasformare i sentimenti in azione scenica.
I testi, col senno di poi, erano alquanto modesti: “La principessa di Bagdad”, “La moglie di Claudio”, “Fedora”, “La Locandiera”, “Adriana Lecouvreur”, ma anche “Casa di Bambola”. Hofmannsthal, che l’aveva applaudita a Vienna, la definì una “creatrice” piuttosto che attrice, avanzando dei paragoni con Sarah Bernhardt e Charlotte Wolter, ritenute, la prima, una virtuosa che recitava se stessa, la seconda impareggiabile nel gesto tragico, mentre riteneva la Duse “ineguagliabile” nella sua adesione al personaggio, tanto che poteva recitare “Sardou e Dumas con la psicologia di Ibsen”.
Ebbene, qui sta la svolta: la Duse, dovendo recitare sempre le stesse figure femminili, alla fine ne provò tale disgusto da sentire l’esigenza di tentare qualcosa di nuovo, questo qualcosa nacque dall’incontro con D’Annunzio. L’epistolario “Come il mare io ti parlo. Lettere 1894-1923” è la testimonianza più vera di questo travaglio, reso più drammatico dalla storia d’amore turbolenta, quasi ai limiti dell’invenzione teatrale, come se si fosse trattato di un copione da recitare, ma che va analizzato nel suo aspetto più autentico, quello tra una capocomica e un poeta che dovrà scrivere per una prima attrice. Non per nulla la Duse, quasi volendolo sottolineare, separava l’attrice dall’amante, essendo stata la prima fondatrice del teatro d’impresa che doveva far quadrare i bilanci e interloquire con chi permetteva alla “ditta” di andare avanti. A questo proposito, c’è una lettera molto significativa (n. 338), scritta nel 1903 ,quando lei era già diventata un’attrice dannunziana, avendo prodotto e recitato “Sogno di un mattino di primavera” (1897), “La gioconda” (1899), “La Gloria” (1899), “La città morta” (1901), “Francesca da Rimini” (1901), nella quale parla di spese vive, della libertà di guidare “l’impresa a modo mio”, dell’essere costretta a “rimettere in tavola tutta la vecchia mercanzia”, di girovagare per il mondo, perché in Italia era impossibile lavorare, motivo per il quale faceva, spesso, valere i suoi diritti di capocomica.
L’epistolario alterna questi due volti, non contiene, però, le risposte, perché le lettere di D’Annunzio, per volontà della Duse, furono date alle fiamme, ma risulta evidente il rapporto arte-vita che ha caratterizzato l’esistenza professionale di entrambi. Il volume contiene un lungo saggio di Annamaria Andreoli e una Postfazione di Giorgio Barberio Squarotti.
Eleonora Duse, Gabriele d’Annunzio, “Come il mare io ti parlo. Lettere 1894-1923”. (A cura di Franca Minnucci) Bompiani 2014 – pp 1406, euro 30,00.
La “teatrale” storia d’amore Duse/D’Annunzio, ai limiti d’un copione, e la scena europea non fu più la stessa
6 Giugno 2014 by