La vecchiaia, i ricordi che si frantumano, l’Alzheimer. A 83 anni Anthony Hopkins strappa il cuore. E il secondo Oscar

(di Patrizia Pedrazzini) – Londra. Per le strade di un quartiere benestante una donna di mezza età, Anne, cammina con passo svelto. Sta andando alla casa del padre, un bell’appartamento, caldo e accogliente, nel quale l’uomo, Anthony, vive solo. Va a trovarlo tutti i giorni, per accertarsi che stia bene, che dorma e che mangi, ma questa volta anche per convincerlo ad accettare l’arrivo di una nuova – l’ultima in ordine di tempo, visto che l’uomo riesce a farle scappare tutte – badante. Soprattutto perché lei sta per partire per Parigi, e vuole sentirsi tranquilla.
Sono le prime scene di “The Father – Nulla è come sembra”, film d’esordio del quarantunenne scrittore, drammaturgo e regista teatrale parigino Florian Zeller, e già emergono evidenti il ritmo essenziale, l’eleganza, l’attitudine al dialogo e all’introspezione, la propensione per le scene d’interni, che saranno gli assi portanti dell’intera pellicola.
Pur vivace e scherzoso, a tratti persino giovanile, con più di un momento di lucidità, il vecchio Anthony mostra chiari i segni dell’Alzheimer: confonde presente e passato, sovrappone ricordi e persone, si sente perseguitato, dimentica oggetti per lui vitali, a partire dall’amato orologio (“non lo trovo più, l’ha senz’altro rubato la badante”), passa dalla dolcezza alla rabbia, infierisce senza pietà sulla figlia amorevole, umiliandola nel confronto con l’altra figlia, amatissima, morta da tempo in un incidente, ma per lui ancora viva, all’estero, dove – dice a tutti – è una pittrice di successo.
Una lotta, quella di Anne, al limite della disperazione. Non vuole che al padre si spalanchino le porte di una Casa di cura, ce la mette tutta perché questo non accada. Ma quando l’avversario è una mente che va in frantumi, contro chi o che cosa si sta lottando?
Nel suo raccontare la peggiore delle ingiustizie che possano capitare a un essere umano, perdere la memoria e quindi la propria identità, “The Father” è un film devastante, un macigno di sofferenza, di fatto una sorta di lungo monologo che non dà tregua né pace, tuttavia condotto con garbo e sobrietà, senza sentimentalismi, anzi all’insegna del controllo, tanto dei sentimenti quanto delle emozioni. Ma soprattutto il lavoro di Zeller riesce a condurre lo spettatore all’interno del dramma della demenza senile, fin dentro la mente di chi ne soffre, portandolo a vivere in prima persona lo smarrimento e la confusione che ne attanagliano l’anima. Attraverso il dolore di un padre e di una figlia, vittime uguali e diverse di una malattia atroce.
Misurata, intensa, generosa, Anne è l’ottima Olivia Colman, già Premio Oscar nel 2019 come miglior attrice per “La favorita”. Il padre, nell’ennesimo ruolo grandioso di una lunga, inappuntabile carriera, è Sir Anthony Hopkins. E non può certo stupire che la perfetta, essenziale e insieme potente interpretazione del vecchio padre (vulnerabile da strappare il cuore) sia appena valsa all’ottantatreenne attore gallese il secondo Oscar (dopo quello ottenuto per “Il silenzio degli innocenti” nel 1992).
“Mi sento come un albero che sta perdendo tutte le sue foglie”, ammette smarrito e spaventato nella scena finale. Poi appoggia la testa sulla spalla della giovane infermiera, e fra i singhiozzi chiama la mamma, perché lo venga a prendere e lo porti via di lì. Mentre la donna lo accarezza dolcemente, come si fa con un bambino. “Va tutto bene, baby, tutto bene”.
“The Father” è stato premiato anche con un secondo Oscar, per la migliore sceneggiatura non originale.
Nelle sale dal 20 maggio in lingua originale, dal 27 nella versione italiana.