La verità? È una menzogna. Ma, tra essere e sapere, sa trovare una certezza grazie all’intervento della tecnologia

(di Andrea Bisicchia) In “Verità e menzogna”, citato anche da Ferraris nel suo volume: “Postverità e altri enigmi”, Il Mulino, Nietzsche sosteneva che ogni tempo ha la sua verità, così come ha la sua libertà, tanto che risulta difficile coniugarle insieme, e così sintetizzava il suo concetto: “Le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e hanno perduto ogni forza sensibile, sono monete la cui immagine si è consumata e che vengono prese in considerazione come metallo, non più come monete“.
In parole povere, se le verità sono monete false, come difendersi? Ricorrendo all’intuizione, osserva Nietzsche, benché le intuizioni senza concetti siano  contenitori vuoti, come, in fondo, lo sono i fatti (sacchi vuoti, fa dire Pirandello al Padre, nei Sei personaggi), se non sorretti dalla ragione.
È sempre Nietzsche a dirci che i fatti non esistono, poiché esistono soltanto le interpretazioni dei fatti.
È il principio tipico dell’ermeneutica, la scienza che ritiene la realtà inesistente, perché esiste solo il linguaggio che, raccontandola, la rende tale. In un’epoca di crisi della verità, come la nostra, che dà molto spazio alle menzogne e alle bufale, Maurizio Ferraris, che insegna filosofia teoretica all’università di Torino, si pone il medesimo problema di Nietzsche e di Lyotard  che nel 1979 si era espresso sulla condizione postmoderna e sul suo rapporto con la postverità, convinto che la verità non sia altro che una antica menzogna.
Maurizio Ferraris affronta il problema utilizzando tre dissertazioni che riguardano il rapporto tra postmoderno e postverità, il conflitto  tra capitale e documedialità e quello che, dalla postverità, arriva alla verità, declinandole in forme apparentemente identiche, ma diverse, come: ipoverità, iperverità, mesoverità ed introducendo figure retoriche come: i portatori di verità, i fattori di verità, gli enunciatori di verità. In fondo, la verità, per Ferraris, si situa tra lo stato ontologico dell’essere e quello epistemologico del sapere, solo che, per procedere verso il suo accertamento, occorre anche l’intervento della tecnologia. Ferraris propone una specie di dipendenza tecnologica, che però non comporta alcuna dipendenza ontologica, poiché favorisce un incontro tra questa e l’epistemologia. Ciò che propone Ferraris è una “verità che si fa, ossia che dipende dalle proposizioni, senza che per questo sia relativa”.
La sua scelta, si orienta verso la “mesoverità”, che si raggiunge  proprio con la mediazione tecnica, tanto che, a suo avviso, la verità diventa: “il risultato tecnologico del rapporto tra ontologia ed epistemologia”. È sufficiente l’efficienza tecnologia? A differenza di Ferraris, per Lyotard non esiste nessuna verità, bensì solo combinazioni pragmatiche.

Maurizio Ferraris, “Postverità e altri enigmi”, Il Mulino 2017, pp 176, € 13.