“La vita che ti diedi”, straziante partita giocata a due col morto. Grandissima Patrizia Milani con la regia di Bernardi

collage pirandelloMILANO, giovedì 8 gennaio  ♦  
(di Paolo A. Paganini) A ben guardare, il titolo del dramma in tre tempi di Pirandello, “La vita che ti diedi” (1923), si presta a qualche “pirandelliana” disquisizione interpretativa. Spesso la realtà perde i suoi connotati di concretezza, e i significati si confondono. Come qui. Dunque, c’è una madre lacerata e offuscata dall’amore per il figlio, lontano e assente da sette anni, che torna infine a casa solo per morire. La madre non ne accetta la morte. Quel figliolo amatissimo, gioioso e bello, dopo la sua lunga assenza, ora non lo riconosce (o non l’accetta) in quel giovane incupito e malato. No, quello non poteva essere suo figlio. Quel morto era uno sconosciuto. Il figlio, invece, era ancora lontano, vivo e felice, insieme con la sua appassionata amante, una giovane donna, adultera e madre di due bimbi, ma a loro indifferente.
Il titolo, dicevamo.
Primo significato: la madre, concependo quel figlio e mettendolo al mondo, gli diede la vita.
Secondo significato: la madre, con il proprio amore, ha donato se stessa, la sua stessa vita al figlio.
Terzo significato, il più subdolo: a quel figlio lontano, ancorché scomparso dalla sua vita di madre, che solo per lui e con lui viveva in un amore senza confini e senza tempo, continuava a “dargli la vita” dentro di sé, con gli occhi dell’anima, che continuavano a vederlo bello e gioioso. Forse è solo questa la reale interpretazione critica. E, comunque, a noi piace pensarla così, con quell’amore di madre, che trascende la vita e la morte.
Alla fine, le arriva in casa la giovane amante, in cerca dell’amato bene. E ancora non sa della morte. La madre l’accoglie come una figlia, e anche a lei fa credere che il figlio è lontano, ma tornerà… Deve tornare, perché la giovane porta in grembo una sua creatura. E l’amante deve dirglielo, deve fargli sapere che ormai conta solo questo, per lei e per lui.
Ma scopre la verità. Straziata dal dolore, lo piange disperata. E per la madre quel pianto la strappa dalle sue illusioni, perché, se perfino a quella giovane donna innamorata, che porta in grembo un frutto di vita, la vita del figlio morto, non basta l’amore per continuare a pensarlo vivo, ad amarlo come vivo, anche per lei, la madre, sarà la fine d’una illusione. “Ora sì che me lo vedo morire”.
In un’ora e mezzo, in tre tempi con due brevissime pause, “La vita che ti diedi” è ora in scena al Carcano, teatro pirandelliano per eccellenza. Diremo subito della bella scena fissa di Gisbert Jaekel, forse concepita come stanza della memoria, come gioco prospettico, con piani inclinati che convergono sul fondale, come centro ottico, come fuga di linee. Bianco lineare essenziale, con luci che si prestano ad atmosfere di vita o con ombre lunghe, notturne, in un senso di morte.
In questo ambiente Marco Bernardi, dello Stabile di Bolzano, ha coraggiosamente diretto, con fredda maestria, i nove personaggi del dramma, in una partita in realtà giocata a due col morto: la madre, la giovane amante, il figlio sempre presente in spirito.
Tragedia poco frequentata – la Duse non l’aveva né accettata né amata -, solo Paola Borboni (immensa, amatissima Paola, un tributo alla memoria) la ripropose al pubblico dopo la morte di Pirandello. Un successo.
Opera difficile, non compresa nemmeno da Benedetto Croce (“un dramma dello stato civile”), è in realtà uno dei più complessi, affascinanti lavori di Pirandello: amorale, irreligioso, laico nel senso alto e solenne della poesia più che della filosofia, è ora interpretato da Patrizia Milani. Bravissima, controllata, intensa nella sua lucida follia di madre. Ci ha donato brividi di commozione e di pietà. La giovane amante è Irene Villa, vibrante e complesso personaggio, dilaniato dall’amore, dai sensi di colpa per i piccoli figli abbandonati, straziata dal dolore per una tragedia senza più il conforto dell’illusione. Ineccepibile. Gli altri, un degno, apprezzato contorno d’alto livello: Carlo Simoni, Giovanna Rossi, Gianna Coletti, Karoline Comarella, Paolo Grossi, Sandra Mangini, Riccardo Zini. Lunghi calorosi applausi alla fine per tutti.

“La vita che ti diedi”, di Luigi Pirandello, regia di Marco Bernardi. Al Teatro Carcano, corso di Porta Romana 63, Milano. Repliche fino a domenica 18.

Tournée
20/25 gennaio: Genova (Teatro della Corte)
30 gennaio/4 febbraio: Trieste (Teatro Orazio Bobbio)
5/8 febbraio: Modena (Teatro Storchi)
10/15 febbraio: Napoli (Teatro Mercadante)