(di Patrizia Pedrazzini) “La nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato”. Così scrive l’inglese Julian Barnes nel romanzo breve “Il senso di una fine”, il libro dal quale il regista indiano Ritesh Batra (“The Lunchbox”) ha tratto il film “L’altra metà della storia”. Ovvero: siamo veramente sicuri che ciò che ricordiamo sia ciò che è effettivamente avvenuto? Non è molto più probabile che sia invece solo ciò che noi, in assoluta buona fede, abbiamo visto, sentito, toccato con mano? Ma è andata davvero così?
Tony è un uomo sulla settantina, in pensione e divorziato dalla moglie, con la quale mantiene peraltro un discreto, civile rapporto. Ha una figlia, che fra poco avrà un bambino, e gestisce un negozietto nel quale vende (poco) e ripara (anche meno) vecchie macchine fotografiche. Tranquillo, concentrato soprattutto su se stesso, puntiglioso, decisamente noiosetto, è il classico tipo che non vuole grane. E che non ne dà. Sennonché un bel giorno riceve una lettera: morendo, la madre di Veronica, la ragazza con la quale stava ai tempi dell’università, gli ha lasciato il diario tenuto all’epoca dal migliore amico di Tony, che gli aveva “soffiato” la ragazza, prima di morire in circostanze poco chiare. L’esistenza dello scritto sembra scuotere dal torpore Tony che, appoggiato anche dalla ex moglie, con la quale si confida, si rimette in contatto con Veronica, la quale però non sembra rivederlo volentieri. Perché?
Muovendosi costantemente, grazie al ricorso a continui flashback, sul doppio binario di un presente immerso nella più totale quotidianità e prevedibilità, e di un passato fatto di ricordi filtrati, falsati o decisamente rimossi, il regista costruisce un film che, seppur forte di validissimi interpreti (Tony ha il volto d Jim Broadbent, Oscar per “Iris – Un amore vero”, Veronica ormai anziana quello della raffinata Charlotte Rampling), non riesce tuttavia a prendere il volo, intrappolato com’è fra prudenza e discrezione.
È come un quadro fatto tutto di mezzi toni: l’amico che muore giovane perso in un passato senza spiegazioni, la figlia incinta che ha un bambino con l’inseminazione artificiale, la ex moglie che sorride saggia, tollerante e comprensiva. Mentre il colpo di scena finale (perché c’è, anche se non è chiarissimo in tutti i suoi risvolti), dal quale magari ci si aspetterebbe, se non una piccola rivoluzione, almeno una reazione, non cambia minimamente lo stato delle cose.
Col passato non si fanno conti. È passato e basta. La vita continua. Tony adesso è nonno, e se tutto va bene magari ricuce anche con la ex moglie (in fondo hanno un nipotino), Veronica continua a portarsi addosso il fardello di un doppio tradimento e, quanto al miglior amico, gli è andata male. Piuttosto ingessato. Tanto bon ton. Molto british.
La vita, i ricordi. Conosciamo la nostra storia? Il senso del passato in un film discreto e prudente. E molto british
11 Ottobre 2017 by