L’«allegria» d’una «Vedova» anni ’50. Un’operetta di grande teatro. E tutti scatenati a ballare. Altro che Moulin Rouge!

“DIE LUSTIGE WITWE” (La vedova allegra), di FRANZ LEHÁR – Direttore: Stefano Montanari – Regia: Damiano Michieletto – Scene: Paolo Fantin – Costumi: Carla Teti – Fondazione Teatro La Fenice (Photo © Michele Crosera)

VENEZIA, sabato 3 febbraio (di Carla Maria Casanova) La vedova è molto allegra. La vedova canta e balla con una energia da acrobata (Nadja Mchantaf ha fatto dieci anni di danza prima di abbordare il canto, e si vede!). E, veramente, tutti cantano e ballano con energia da acrobati.
“Die lustige Witwe” (La vedova allegra) è lo spettacolo in scena alla Fenice, a pochi giorni dal “Pipistrello” arrivato per la prima volta alla Scala. Tanta operetta in Italia in un colpo solo (i vari sforzi per farle passare per opere non convincono) si spiega con la scadenza del Carnevale. A Venezia, a portare in scena il capolavoro di Lehár è Damiano Michieletto, con una coproduzione con il Teatro dell’Opera di Roma. Da lui (Michieletto) ci si aspetta sempre una “rivisitazione” e puntualmente arriva: qui, non più un’ambasciata ma una banca.
Sono partito dall’idea che ciò che muove tutto, dal punto di vista drammaturgico, sono i soldi. L’interesse e l’attenzione rivolti a questa vedova sono motivati esclusivamente dall’eredità che lei porta con sé” dice il regista. E quale luogo rappresenta i soldi meglio di una banca? Affinché non si facciano penosi paragoni con il momento economico attuale, l’azione è spostata agli anni Cinquanta (che tra l’altro oggi, a cinema e teatro, “vanno” moltissimo).
La storia si conosce: L’economia di un piccolo stato (all’origine il Montenegro, qui Pontevedro) è al collasso. Bisogna che Hanna Glawary, la vedova di un facoltosissimo banchiere locale, risposi un connazionale, onde la sua ricchezza non varchi i confini, generando la bancarotta. A questo scopo viene contattato tale Conte Danilo, infallibile seduttore. Ci riuscirà? Naturalmente sì, dopo le solite traversie.
Dunque, niente ori, niente lustrini, niente “aristocrazia”: un salone di banca, disegnato dallo scenografo Paolo Fantin, in quello stile sobrio che, usciti dalla guerra (seconda mondiale) non ha ancora avuto il tempo di pensare ai fronzoli e alla raffinatezza: finite le bombe, bisogna andare al sodo. Appunto. E anche la festa di Hanna Glavary si svolge in un locale piuttosto anonimo, con l’orchestra jazz sulla pedana del teatrino. Diremmo una “balera” per giovani. Ma quanto si balla. Sono proprio scatenati. Dopo l’Oscar a “La La Land”, non si pensa altro che a quello. Diciamo che in questa Vedova il ritmo vorticoso incessante dei balli è un tantino oppressivo. Anche la riduzione dei parlati (comunque ben vengano, visto che l’operetta è data in lingua originale tedesca) diminuisce lo spazio del recitato, tutto fagocitato dalle imperanti coreografie (di Chiara Vecchi). Nell’azione non mancano spunti ironici, manovrati dal regista con maestria.
L’ambientazione è piacevole e i vestiti (non ci vien fatto di chiamare costumi) disegnati da Carla Teti, rigorosamente ripresi dai figurini di sessant’anni fa, rinverdiscono il tempo della giovinezza (… di chi ha un po’ di anni). Il cast vocale comporta nomi a noi non notissimi, e di pronuncia proibitiva, ma sono interpreti  straordinari. Con la vivacissima protagonista Nadja Mchantaf si distinguono Christoph Pohl (Danilo), Franz Hawlata (barone Zeta), Adriana Ferfecka (Valencienne), Konstantin Lee (Rossillon), Simon Schnorr (Cascada), Karl-Heinz Macek (Njegus).
Coro e orchestra impegnati a fondo.
E il corpo di ballo, altro che Moulin Rouge!
Sul podio c’è Stefano Montanari, il musicista che fino a poco tempo fa si distingueva per un singolare look da metallaro, con tatuaggi e vistosa gioielleria pesante (anelli, bracciali, collane), ora saggiamente barattata con la tradizionale e coerente bacchetta direttoriale. Oltre tutto, provvisto di ineccepibile musicalità, la usa benissimo (il direttore è anche violinista e docente di violino barocco a Milano). Montanari, che riconosce alla Vedova un momento di “grande teatro”, approfondisce i rapporti umani della drammaturgia che “danno modo a uno spettatore di immedesimarsi nella vicenda”.
Ancora una volta La Vedova (assente da Venezia dal 1988, allora protagonista Raina Kabaivanska) ha suscitato grande entusiasmo e ha corroborato l’usata atmosfera  carnevalizia quasi assente, forse anche a causa della pioggia, fuori dal  teatro.

Teatro La Fenice, repliche 4, 8, 10, 13 febbraio.
www.teatrolafenice.it