L’amore che si ammala e s’imbestia di furore. Cioè Fedra, di Euripide e Seneca, straziata da una passione incestuosa

MILANO, mercoledì 15 febbraio ► (di Paolo A. Paganini) Il tragico destino di Fedra, sposa di Teseo, re di Atene, è un morbo genetico. La sua incestuosa, distruttiva passione per il figliastro Ippolito è già nelle sue vene. Per Euripide gli dei c’entrano poco. La madre di Fedra era Pasifae, sposa di Minosse, re di Creta, la quale, presa contro natura da irrefrenabile libidine per un toro, si unì ad esso. E nacque il mostruoso Minotauro.
Ippolito non è un toro. Figlio dell’amazzone Ippolita, vergine e virtuoso, bellissimo e casto, ad Afrodite preferiva Artemide (la Diana dei romani). Odiatore delle donne, amava farsi i fatti suoi e andar per boschi a cacciare. Era una specie di invasato poeta della caccia. Allora Afrodite, offesa, fece scatenare in Fedra, un incontenibile delirio d’amore per Ippolito.
Qui subentrano due varianti. Di Euripide e di Seneca.
Per Euripide, Fedra (428 a.C.) rivela il proprio folle amore alla fedele nutrice, e poi, disperata, s’impicca, lasciando ingiustamente che Teseo creda che si sia suicidata, per la vergogna e la disperazione, per avere il il proprio figlio Ippolito attentato alla virtuosa fedeltà della matrigna. E Teseo maledice l’incolpevole figlio, il quale, correndo sul cocchio con i suoi cavalli in riva al mare, s’imbatte in un mostruoso toro uscito dall’acque, mandato dall’invocato Poseidone. I cavalli s’imbizzarriscono e travolgono il giovane, che, prima di morire, perdonerà il padre.
Seneca, che riprende la tragedia di Fedra (dal 42 al 60 d.C.), si discosta da Euripide anche per la diversa struttura stilistica e per il diverso ritmo drammatico: il greco predilige i momenti dialogati; il romano ama i monologhi, con momenti di sublime e travolgente poesia. Seneca, dunque, non evita l’incontro tra Ippolito e Fedra, la quale poi, prima di uccidersi, accuserà l’incolpevole figliastro della sua presunta violenza incestuosa. E Ippolito, maledetto dal padre, fuggirà sulla spiaggia con il suo cocchio, quando un mostruoso toro uscito dall’acque farà imbizzarrire i cavalli, che correndo all’impazzita faranno dilaniare il povero ragazzo.
All’origine, con Pasifae, c’era il fatale toro. Ippolito chiude il ciclo del destino con un toro imbufalito, simbolo delle imbestiate passioni umane.
In una commistione di Euripide (che, a una prima impressione, prevale nell’economia dello spettacolo) e di Seneca (grosso modo, e comunque, la parte finale), nella fluida integrazione di Andrea De Rosa, adattatore e regista di “Fedra – La tragedia del furore”, in scena al Piccolo Teatro Grassi di Via Rovello (75 minuti senza intervallo), con la straziante, appassionata interpretazione di Laura Marinoni, si snoda la carnale eppure inevitabile tragedia delle umane passioni, quando la follia d’amore travolge ciecamente ogni ragione, ogni freno morale. (Poi arriverà nel 1677 la più complessa tragedia di Fedra in cinque atti di Racine. Ma questo è un altro discorso).
Rimaniamo con l’allestimento di De Rosa. È l’amore,dunque, che si ammala, che diventa furore (cioè, con tributo etimologico, “eccitamento libidinoso”), desiderio totalizzante e disgregatore. La purezza dell’amore si sfalda adombrata dall’incesto. E diventa un amore cupo, malattia incurabile, senza scampo in una fatale agonia senza redenzioni. Fedra è vittima di una passione sfrenata, irragionevole e scandalosa, ma inevitabile, come il male stesso. È la bestia, il toro, che ha occupato tutti gli spazie dell’anima di Fedra. La bestia è talvolta dentro di noi, che tutto involge e stravolge quando s’infuria in questo mistero ch’è amore, che chiamiamo amore. Ed è uno strazio.
De Rosa ha a sua volta un’incontenibile passione per la parola, ne santifica sussurri e grida, sospiri e urla di dolore, con un impianto stereofonico, riconosciamolo, di sofistica tecnologia e di altissima suggestione. In mezzo alla scena, un grande cubo di plexiglass, dove vengono ingabbiati i sentimenti più intimi, le passioni più incontenibili, le reticenze più tragiche, con qualche libertà interpretativa (come Teseo infoiato che s’accopula con Fedra).
I cinque interpreti sono ineccepibili, con punte recitative di straziata bellezza, sopra a tutti la Marinoni e, con pari intensità, il giovane Ippolito di Fabrizio Falco, e poi il Teseo di Luca Lazzareschi, e le ineccepibili Tamara Balducci e Anna Coppola.
Applausi, con “furore”, alla fine per tutti.

“Fedra”, dalla Phaedra di Seneca (con estratti dall’Ippolito di Euripide e dalle Lettere di Seneca) – Adattamento e regia Andrea De Rosa – Con Laura Marinoni, Luca Lazzareschi, Anna Coppola, Fabrizio Falco, Tamara Balducci. Scene e costumi Simone Mannino, luci Pasquale Mari, suono Gup Alcaro – Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Fondazione Teatro Stabile di Torino – . Al Piccolo Teatro Grassi, Via Rovello 2 Milano – Repliche fino a domenica 26 febbraio.

Informazioni e prenotazioni 0242411889
www.piccoloteatro.org