L’Armata Brancaleone ha invaso il palcoscenico del Teatro Manzoni, tra sospiri shakespeariani e gag di varietà

MILANO, venerdì 1 marzo ► (di Paolo A. Paganini) Ci sono già tante leggi, leggine, regole e regolamenti. Almeno il teatro ne sia sdoganato. E diventi un porto franco di spensierata libertà, di felice anarchia, senza complessi e vergogne, e non “di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello…” Ah, Dante vien sempre bene per tutte le stagioni, anche se il soggetto in questione non è il teatro, ma l’Italia. Fa lo stesso, no?
Ma, ad aggirare leggi e leggine, ci sono, in scostumata allegria: scrupoli, moralismi, presunzioni, reticenze, luoghi comuni, consacrati stereotipi , tenaci bigottismi. Inalienabili vizi della nostra perduta libertà. E ci portiamo in platea gli ammuffiti fantasmi dei nostri mugugnamenti, insieme con la nostalgia per la nostra ormai perduta ingenuità dei bambini. O dei pazzi, o dei poeti, o degli innamorati. Come dirà Shakespeare, tra fate, amori e amorazzi, in “Sogno di una notte di mezza estate” (1600), in scenaora al Manzoni (due tempi, uno di un’ora e dieci, l’altro di quarantacinque minuti), con una quindicina di attori, diretti da Massimiliano Bruno. Il regista firma anche l’adattamento, e spiega poi il tutto, nella prefatio del comunicato di sala, dal quale si evince che, con questo spettacolo, si è voluto isolare “la dimensione razionale imprigionata nelle regole e nei doveri bigotti e rendere più libera possibile quella onirica, anarchica e grottesca...”, e soprattutto con “l’intenzione di essere affettivi senza essere affettuosi…divertire per far riflettere , vivere nella verità del sogno tralasciando la ragione asettica e conformista… con suoni e immagini, che sono meravigliose memorie senza mai essere ricordi…”
Un delirio di parole, al quale fa riscontro un colossale, dilettantesco pasticcio, che, anziché liberare la mente con un sogno e una bella favola a lieto fine, scatena nello spettatore miserevoli sudditanze e rispettose genuflessioni a moralismi, luohi comuni, consacrati stereotipi,  tenaci bigottismi.
In altre parole, prefazioni a parte, ciascuno, purtroppo, si porta a teatro la propria cultura, i propri giudizi, le proprie verità. O pregiudizi che siano.
Uno, per esempio, non è preparato a vedere sul palcoscenico una specie di Armata Brancaleone, con cinque sciagurati capitanati da Bottom (Stefano Fresi), che sproloquiano in un presunto linguaggio vetero italico, mentre tentano di allestire comicamente – teatro nel teatro – il dramma di Piramo e Tisbe.
E qui la comicità diventa farsa, sbracata e sgangherata (= anarchia di chi ha voluto “isolare  la dimensione razionale”), dando il via a un tumulto di voci incontrollate sparate dagli altoparlanti (= anarchia di chi deve controllare i livelli), facendo precipitare il tutto fra siparietti, scenette e gag che avrebbero fatto impallidire gli ultimi guitti di patetici varietà di provincia (= anarchia di un ingessato Puck/Paolo Ruffini, e dell'”antesignano cripto gay” Oberon/Augusto Fornari, e della scosciata Titania/Violante Placido).
E soprattutto contravvenendo (ah, sì, i miserevoli pregiudizi) al rispettoso concetto che pur abbiamo dell’opera di Shakespeare, che, per il “Sogno”, trasse ispirazione da Apuleio, da Plutarco, dalle stregonerie della “Discovery of Witchcraft” (1584), costruendo una gioiosa storia d’amore e d’incantamenti in una “follia” di quattro intrecci in cinque atti, ambientandoli nella magica foresta d’un mondo fiabesco, animato da una incantevole leggerezza di elfi e di fatine. E c’era una volta il piacere di perdersi nei rapinosi arabeschi del sogno, in un trionfo di allegorie rinascimentali.
Ce ne sarebbe stata abbastanza già in Shakespeare di ispirazione. Ma qui s’è preferito ispirarsi all'”Armata” del Cavaliere di Norcia di Monicelli e al suo linguaggio vetero italico. Ma, là, Brancaleone godeva di una trionfale vis comica; qui, precipita sguaiatamente in una becera imitazione di farsa all’italiana.
Festoso godimento e applausi per tutti alla fine. Si replica fino a domenica 17 marzo.

“Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare. Adattamento di Massimiliano Bruno. Con Stefano Fresi, Violante Placido, Paolo Ruffini, Augusto Fornari, Maurizio Lops, Rosario Petix, Dario Tacconelli, Zep Ragone, Sara Baccarini, Alessandra Ferrara, Antonio Gargiulo, Tiziano Scrocca, Daniele Coscarella, Maria Vittoria Argenti. Regia Massimiliano Bruno. Al Teatro Manzoni, Via Manzoni 42, Milano